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Discorso della servitù volontaria

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Talismano dei disobbedienti, manifesto segreto di ogni libertario: il "Discorso della servitù volontaria" è un capolavoro clandestino che non perdona. Intrattabile e senza fissa dimora dal giorno in cui vide la luce, contiene la resa dei conti di un giovane e di un nobile, Étienne de La Boétie incarna entrambe le qualità, con le passioni collettive più enigmatiche da decifrare: la paura della libertà e l'ansia della dipendenza. L'oppressione si regge infatti anche sulla connivenza delle vittime, uomini che amano le proprie catene più di se stessi.



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Discorso della servitù volontaria 2020-06-01 13:42:41 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    01 Giugno, 2020
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Attuale cinquecento anni dopo

Certi uomini avevano una visione delle faccende umane che andava incredibilmente oltre la superficie, così a fondo da scovare concetti universali che resistono alla prova del tempo, perché talmente radicati in noi da risultare impossibili da cancellare e che ci portiamo dietro dal principio della nostra Storia. Quando penso a persone simili, la prima che mi è sempre venuta in mente è Shakespeare, ma da oggi mi verrà in mente anche Étienne de La Boétie, almeno per quanto riguarda il concetto di tirannia e la tendenza quasi innata che l'uomo ha di fare di sè stesso un servo.
La cosa che più colpisce di questo breve discorso, oltre all'essere stato scritto nel Cinquecento, è la giovanissima età del suo autore: si dice che avesse, infatti, fra i sedici e i vent'anni. L'arguzia del suo discorso era così elevata e fuori dagli schemi, per l'epoca, da colpire anche un grandissimo filosofo come Michel de Montaigne, che volle assolutamente farsi amico quel giovane così brillante. Nel suo discorso, La Boétie mette in risalto l'assurdità della tirannia, ma seppure enfatizzi la malvagità dell'uomo che detiene il potere, si concentra soprattutto sul paradossale comportamento dei sudditi che, se solo volessero, potrebbero facilmente liberarsi di lui. Non è che un solo uomo, in fondo. Purtroppo, l'uomo pare essersi assuefatto alla servitù al punto di amare le proprie catene. Tuttavia, anche coloro che sono riusciti ad attirarsi i favori del tiranno, dovrebbero sapere quanto quella considerazione e quei favori siamo effimeri; pronti ad essergli strappati al primo capriccio di un uomo ubriaco di potere, che per il proprio vantaggio può essere disposto a tutto.
Purtroppo gli uomini, pur bramando la libertà perché insita nella propria natura, tendono ad assuefarsi alla servitù, a convincersi che non è poi così male; che in fondo è meglio la «vaga sicurezza d'una vita miserabile che la dubbia speranza di vivere felici. Molti popoli hanno vissuto assoggettati dalla nascita e mai hanno conosciuto altro, dunque non possono piangere per la libertà perduta o lottare per essa, ma la Boétie è comunque convinto che il desiderio di libertà sia talmente radicato nella natura umana, che anche in mezzo a questi popoli potranno nascere uomini in grado di desiderare l'inimmaginabile. Più difficile è trovare la forza e il sostegno per ottenerle.
Breve, denso, ma estremamente interessante. Non dimentichiamo che, seppur lontane dalla nostra società occidentale (ma non troppo), realtà del genere sono presenti ancora oggi, cinquecento anni dopo La Boétie.

“Per ora vorrei invece soltanto capire come sia possibile che tanti uomini, tanti paesi, tante città, tante nazioni, a volte sopportino un solo tiranno, che non ha altra potenza se non quella che essi gli concedono; che non ha potere di nuocere, se non in quanto essi hanno la volontà di sopportarlo; che non saprebbe far loro alcun male, se essi non preferissero subirlo anziché contrastarlo. Si tratta di una cosa enorme, certo, e tuttavia talmente comune da doversene più affliggere che stupire: vedere un milione di uomini servire in modo miserabile, il collo sotto il giogo, non costretti da una forza superiore, ma in qualche modo incantati e affascinati dal solo nome d'uno, di cui non devono temere la potenza, poiché è solo, né amare le qualità, poiché è inumano e selvaggio nei loro riguardi.”

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