Mein Kampf Mein Kampf

Mein Kampf

Saggistica


«La lettura del "Mein Kampf" io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro non è che un cacciuccio di coglionerie» (Indro Montanelli, Corriere della Sera)



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Mein Kampf 2015-12-28 07:06:13 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    28 Dicembre, 2015
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Da leggere, malgrado tutto

Un ‘gergo ripugnante’ che ‘ricorda il delirio dei pazzi’: è probabilmente troppo onore ripescare Schopenauer per questa roba, ma l’essenza delle succitate affermazioni è la prima a balzare in mente. Il filosofo di Danzica ce l’aveva con Hegel e, in fondo, alcuni studiosi hanno ipotizzato connessioni tra lo spirito dei tempi che ha generato queste idee e l’idealismo o, quantomeno, i suoi figli degeneri: qui, molto più banalmente, si tratta di un tizio che parla di ‘lotte comuniste della finanza borsistica internazionale’, tanto per dire il livello di analisi politica e macroeconomia sparpagliato fra queste pagine. Ho usato ‘parla’ e non ’scrive’ perché, come è noto, il libro è la trascrizione da parte dei suoi seguaci (fra i quali Rudolf Hess) dei soliloqui tenuti da Hitler durante la prigionia-vacanza nel carcere di Landsberg am Lech: il risultato è un testo scritto male (e tradotto peggio nell’edizione di inizio anni Settanta che mi sono ritrovato fra le mani) che sarebbe da gettare nel fuoco se solo non avesse scatenato gli orrori che ne sono discesi. Essendo stato redatto nel 1923, il volume prende in considerazione i cinque anni trascorsi dalla fine del primo conflitto mondiale, con la Germania messa in ginocchio dalle sanzioni in cui il piccolo partitino del futuro Führer si fa strada con le buone e con le cattive propugnando l’autoritarismo e la supremazia tedesca. Su questi argomenti e soprattutto sulla crisi economica e di valori che vede in patria, Hitler si dilunga ripetendosi spesso e piangendosi abbastanza addosso mentre filosofa sulla triste sorte del popolo germanico nato per dominare le genti e invece sempre diviso e battuto. E di chi è la colpa? Dell’ ‘ebreo internazionale’, che egli estrae dal cappello ogni volta che si trova costretto a spiegare passaggi dai quali nessuna logica gli consentirebbe di uscire: un continuo battere e ribattere sull’argomento che trova il suo apice nei segmenti finali, in cui è chiaramente tratteggiato lo sterminio che verrà. Del resto, già nel terzo capitolo le teorie razziali sono ben delineate: poche pagine (i capitoli corti, nei quali Hitler non riesce o forse non prova a mascherare le proprie motivazioni, sono davvero terribili) che illustrano bene la teoria che divide razze superiori e inferiori, con relative contaminazioni da evitare, a supporto della quale non mancano spericolate reinterpretazioni della storia dell’umanità. Leggendo simili allucinazioni tra stupore e un nervosismo crescente, non ci si può esimere dalla domanda su come un tale velenoso ciarpame abbia potuto sedurre un intero popolo, seppure allo stremo: la risposta sta nel capitolo sette, in cui Hitler analizza con notevole lucidità il potere della propaganda e le vie da utilizzare per ottimizzarne gli effetti, tenendo anche conto della propensione dei suoi compatrioti per l’ordine e l’obbedienza. Una dedizione che non verrà meno nemmeno quando il dittatore tradirà alcune delle proprie categoriche affermazioni, come si nota in modo abbastanza evidente per quanto riguarda i rapporti con l’Unione Sovietica, ma va detto che si tratta di passaggi largamente in minoranza: il caporale austriaco finì per realizzare le idee qui esposte in modi che, mentre le dettava, forse non poteva neppure sperare grazie a un crescendo da troppi colpevolmente ignorato. E’ meglio ben ponderare il ‘delirio dei pazzi’, se questi sono al comando di una macchina da guerra.

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