Narrativa italiana Romanzi Aìli che voleva correre
 

Aìli che voleva correre Aìli che voleva correre

Aìli che voleva correre

Letteratura italiana

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“Aìli che voleva correre” è la storia di un sogno e di un viaggio. Anzi, due: il viaggio di una ragazza di nazionalità etiope che recide il legame con il suo passato, la sua famiglia e la sua terra per la realizzazione di un sogno, e il viaggio interiore di un giornalista, Guido, il quale, attraverso il racconto della vita di Aìli e della sua morte, interroga la sua coscienza e vive la sua trasformazione. Parte da Genova, la sua città, per un’isola del Mediterraneo. Colpito dai corpi privi di vita che vede nell’obitorio del cimitero, si sofferma su quello di una giovane ragazza. La sua morte lo turba profondamente e decide di scriverne la storia, immaginandola. La ricostruzione della vita della ragazza, come persona ma soprattutto come donna, sarà per il giornalista l’occasione di intraprendere un suo viaggio interiore, che lo porterà alla consapevolezza di sé e dei valori sopiti nella sua anima. La sua vita, umana e professionale, acquisterà da quel momento un significato nuovo.



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Aìli che voleva correre 2018-01-09 18:21:51 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    09 Gennaio, 2018
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Una storia d'Africa

“Lo straniero è come un fratello che non hai mai incontrato”

È una storia piccola e preziosa, quella racchiusa tra le pagine del romanzo “Aìli che voleva correre”. Una storia sospesa tra sogno e realtà, una di quelle che le drammatiche cronache del nostro tempo non ci raccontano né mai potranno farlo, poiché ci vuole cuore per guardare lontano, oltre i confini della miseria, oltre le assolate rotte di sabbia e acqua, oltre i rovinosi naufragi che inghiottono la speranza di chi si mette per mare così come la nostra indifferenza.
Aìli è una giovanissima donna a cui viene restituita la dignità di un nome e di un ricordo. Figlia di un angolo dell’immensa terra d’Africa, la ragazza incarna i palpiti di un continente intero che vive quotidianamente vecchi drammi e contraddizioni, sempre in cammino alla inquieta ricerca della propria strada verso un futuro migliore. L’Africa, dunque, al pari di Aìli, è la protagonista di questa storia, con il suo essere un po’ madre e un po’ matrigna, con il suo mosaico di genti e culture, i suoi grandi spazi aperti e cieli sconfinati, la bellezza struggente dei suoi tramonti, le sue antiche fiabe, i suoni, i profumi e i colori che rapiscono l’anima con il loro fascino; protagonista fino in fondo, l’Africa, fin sui barconi “carichi di volti e di corpi, di sguardi e di sorrisi, di dolori e di speranze” che, infine, coraggiosi attraversano quel grande cimitero che è ormai diventato il Mediterraneo.
Bellissimo romanzo, che non ha deluso le mie aspettative. Un ottimo esordio per l’autrice Adriana Pillitu, la cui scrittura, oltre che perfetta, è intrisa di una delicatezza profonda e dalla quale traspare una sensibilità particolare che, in tempi di muri e barriere di filo spinato antimigranti, rappresenta qualcosa di estremamente prezioso come la stessa vicenda narrata. A far da cornice a quest’ultima temi di non poco conto, quali la rapina delle terre, il traffico d’armi e di uomini, vecchi e nuovi colonialismi, su cui la spesso tronfia società occidentale dovrebbe riflettere di più, dal momento che essa – historia docet – ha nei confronti del continente africano gravissime colpe e responsabilità ben precise. Riflessione e azione, in verità, sarebbero auspicabili. Prima che sia intollerabilmente troppo tardi. Prima che la storia di Aìli possa ripetersi all’infinito e la sua corsa sognante si fermi per sempre alle porte della fortezza Europa, tra le onde di un mare che dovrebbe essere, di nuovo e soltanto, un ponte tra popoli e civiltà.

“Si lasciò andare, Aìli, e trovò quasi consolatorio l’abbraccio delle onde, che l’avvolgevano e la trascinavano. Si racchiuse su se stessa, piegò le ginocchia e si raccolse. Era un ventre materno che, invece di darle la vita, a poco a poco gliela portava via. Il suo sogno si infranse proprio lì, ingoiato dalla violenza del mare.”

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