Il disprezzo Il disprezzo

Il disprezzo

Letteratura italiana

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Pubblicato per la prima volta nel 1945, questo romanzo costituisce una tappa fondamentale del viaggio di Moravia attraverso le istituzioni borghesi e il loro scacco. Protagonista è uno scrittore di sceneggiature i cui primi rapporti con la moglie si illuminano e si complicano a contatto con il mondo della produzione cinematografica, della carriera e del successo. A differenza de L'amore coniugale che racconta la storia di un tradimento, Il disprezzo muove da un lato positivo, un caso di fedeltà matrimoniale, per chiarirne tutta la natura di illusione, di reale sconfitta e di profonda, modernissima contraddizione.



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Il disprezzo 2019-09-04 08:35:37 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    04 Settembre, 2019
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Fedeltà non vuol dire amore

Amaro. Uno dei più amari che abbia letto quest’anno, anche se con la genialità di Moravia. Ho notato punte di follia e di morbosità nelle ultime pagine, più marcate rispetto agli altri romanzi moraviani letti. Una morbosità comunque controllata, tenuta sempre sotto la lente, indagata.
Insieme al romanzo “L’amore coniugale” (1949) quest’altro breve libro (pubblicato nel 1954) forma un dittico. Andrebbero letti entrambi per avere una visione completa dell’amore tra coniugi, ma, mentre nel primo si narra di un tradimento, in quest’altro il tradimento non c’è, anzi...è una storia di fedeltà, ma tutta particolare.

Riccardo ed Emilia sono una giovane coppia di sposi romani, non proprio ricca. Riccardo si occupa di sceneggiatura, la sua ambizione è il teatro, mentre Emilia, che prima di sposarsi fa la dattilografa, sogna una casa tutta sua, da arredare e da curare secondo i suoi gusti. Si amano. Lui, nonostante non sia ancora uno sceneggiatore affermato, per renderla felice si accolla un mutuo che di mese in mese gli procura ansia ed angoscia, impedendogli di dedicarsi al lavoro che lo appassiona e costringendolo quasi ad accettare compiti di second’ordine, col solo scopo di riuscire a pagare la rata della casa. Questo regalo impegnativo fatto ad Emilia fa provare a Riccardo “le angustie mortificanti della penuria di denaro”.

“Quest’uomo nascondeva alla moglie, per non turbarla, la propria ansietà; correva tutto il giorno per la città cercando lavoro e spesso non trovandone; si svegliava la notte di soprassalto pensando ai debiti da pagare; e, insomma, non pensava e non vedeva più che il denaro(...) “

Oltre al danno, la beffa. Sì, perché dopo qualche mese Emilia si comporta con lui in modo freddo, strano, i loro rapporti si incrinano, fino a quando, verso la metà della storia, lei non gli confessa, esasperata dalle domande di lui... che lo disprezza.
Quanta durezza in questo romanzo, esacerbata dal forte contrasto tra il profondo e viscerale amore che lui prova per la moglie e questo inspiegabile (?) disprezzo di Emilia verso di lui.

Nella storia ci sono altri due personaggi sui quali non dirò che poche parole. Battista, il produttore argentino, si atteggia ad uomo di successo, e a Riccardo propone di preparare la sceneggiatura di una “Odissea” omerica in formato colossal americano con tanto di donne mezze nude e un Polifemo King Kong, perché
“(...) il film neorealistico non è sano, non è un film che incoraggi a vivere, che aumenti la fiducia nella vita... il film neorealistico è deprimente, pessimistico, grigio... a parte il fatto che esso rappresenta l’Italia come un paese di straccioni, con gran gioia degli stranieri che hanno tutto l’interesse a pensare, appunto, che il nostro sia un paese di straccioni, a parte questo fatto dopo tutto già abbastanza importante, esso insiste troppo sui lati negativi della vita, su tutto quello che c’è di brutto, di sporco, di anormale nell’esistenza umana... insomma è un film pessimistico, malsano(...)”.

Il regista invece, un certo tedesco Rheingold, propone una visione in chiave psicanalitica e freudiana del poema omerico che si rivela amara e, allo stesso tempo, illuminante : Penelope pur rimanendo fedele ad Ulisse, non lo ama più da molto tempo e, per questo motivo l’eroe di Itaca rimanda il ritorno ogni volta, perché non gli è piacevole la vita accanto ad una donna che lo disprezza...

Non posso più dirvi nulla sulla trama.
Posso invece, anzi devo, sottolineare, le considerazioni che l’autore fa sul lavoro dello sceneggiatore, colui che davvero lavora per il film, ma che non appare sulla locandina. Egli in sostanza “è un artista che, pur dando il meglio di sé al film, non ha poi la consolazione di sapere che avrà espresso se stesso”, in quanto i meriti vanno tutti al regista e al produttore.
In sordina trapela anche una polemica contro i colossal americani: barocchi apparati di festa di colori e mostruosità che hanno il solo scopo di stupire, senza lasciare alcun contenuto di valore.

Sopra ogni cosa però, l’inconfondibile stile di Moravia che, come scrive Enzo Siciliano “ha sempre incenerito ciò che sembra”, l’apparenza, grazie al suo realismo, al suo scavo psicologico fatto senza censure. (E. SICILIANO, “Alberto Moravia, vita, parole e idee di un romanziere” Milano, 1982)

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Va assolutamente letto insieme a “L’amore coniugale”, in quanto, anche se le storie sono diametralmente opposte, ci sono dei parallelismi interessanti, sia nella trama, che nelle considerazioni sul lavoro dell’artista, che in un romanzo è lo sceneggiatore e in un altro lo scrittore di romanzi.
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Il disprezzo 2018-01-12 10:45:18 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    12 Gennaio, 2018
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Riccardo e Emilia

Classe 1954, “Il Disprezzo” di Alberto Moravia è un’opera in cui l’autore torna a concentrarsi sulla classe borghese italiana e sui sentimenti che si intersecano, scontrano e cooperano nei rapporti familiari. Testo pubblicato al crepuscolo della fase neorealistica, lo stesso narra le vicende intercorse tra uno sceneggiatore cinematografico costretto a svolgere un lavoro che non desidera per soddisfare le necessità dell’altro membro del nucleo familiare, la moglie Emilia. Sullo sfondo la realizzazione di un film in quel di Capri avente ad oggetto una particolare rivisitazione e reinterpretazione dell’Odissea.
Più precisamente, siamo nel pieno del dopoguerra ovvero siamo in quella fase in cui il desiderio di rivalsa, di felicità, di materialità sono all’ordine del giorno perché è nel possesso dei beni che viene rivisto l’appagamento, la risoluzione a quella povertà e condizione di precarietà che negli anni precedenti si era perpetrata. Molteni, in tal senso, è l’emblema di ciò: accetta un impiego che odia pur di acquistare una casa, una macchina e altri oggetti superflui ma all’avanguardia. Finisce così con il diventare schiavo del denaro e del potere, denaro e potere che sono rappresentati da un produttore cinematografico che sa esattamente dove far leva pur di ottenere dal dipendente i propri voleri. Da qui, l’analisi si sposta sulla figura femminile che viene a sua volta esaminata con termini tanto lusinghieri quanto non. Non vengono messi in dubbio i sentimenti del protagonista eppure, per quanto oggetto d’amore e desiderio, la medesima è considerata quale la causa delle scelte professionali di Riccardo. E’ confinata al ruolo di donna semplice, contadina, incolta, priva di idee, piena di pregiudizi, contraddizioni e incatenata all’ambizione di scalata sociale propria della sua classe di provenienza. L’unica ragione per la quale il sodalizio matrimoniale si è consumato sembra essere radicato nella bellezza di questa dattilografa e nel suo incarnare del tutto il ruolo impostole dalla società. Da questo breve assunto, ogni scelta e decisione del marito sembra procrastinarsi al soddisfacimento delle esigenze di lei.
Il rapporto, ancora, viene descritto in crescendo. Dalla fase dell’innamoramento in cui la coppia provava affetto e non si giudicava, si passa a quella in cui questo non riesce a consolidarsi per anzi sgretolarsi sino a tramutarsi in disprezzo. Ed è nella rivisitazione de “L’Ulisse che non voleva tornare a casa” per “riunirsi a Penelope”, celando dunque un forte desiderio di allontanamento, che trova maggiore espressione questo dato.
Caratterizzato da una scrittura analitica, rigorosa, erudita, precisa, il volume conferma l’acume e la qualità della penna di Moravia e al contempo si presta perfettamente all’analisi psicanalitica intrapresa, un’analisi che riuscendo ad amalgamarsi alla cultura, alle vicende, alla letteratura stessa, risponde alle più varie esigenze testuali.
In conclusione, riflessivo, introspettivo, disarmante. Uno degli stesi più leggibili e significativi dell’autore, ma anche una delle testimonianze maggiori in materia di comunicazione e mancanza di questa.

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Il disprezzo 2017-08-19 17:44:58 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    19 Agosto, 2017
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La classe borghese non va in paradiso

Piacevole scoperta questo romanzo di Moravia piuttosto noto anche in considerazione della trasposizione cinematografica di Godard che in qualche modo ha orientato la mia scelta nella lettura. La vicenda è narrata in prima persona dal protagonista Riccardo Molteni, di professione sceneggiatore per il cinema, che racconta la crisi matrimoniale con la moglie Emilia scoppiata dopo due anni felici di matrimonio in cui capisce che “La felicità è tanto più grande quanto meno la si avverte”. Emilia progressivamente si distacca da Riccardo, con una banale scusa decide di non dormire più nello stesso letto, quindi comincia a trattarlo con una certa freddezza, fino ad evitare qualsiasi forma di contatto fisico. Si assiste ad un crescendo di tensioni, Riccardo sempre più sofferente cerca in tutte le maniere di capire il motivo di questo inspiegabile cambiamento fino a quando Emilia, messa alle corde ed esasperata, confessa di disprezzare il marito (“io ti disprezzo…ecco quello che provo per te…Ti disprezzo e mi fai schifo”). Il tema di questo segreto disprezzo mai motivato, né spiegato da Emilia, scorre inesorabilmente lungo le pagine del romanzo, rappresenta l’ossessione di Riccardo desideroso di riconquistare la moglie in tutti i modi e viene in qualche modo svelato solo nelle pagine finali attraverso le riflessioni del protagonista che scava nel proprio passato.

Emblematica della condizione di Riccardo, come ulteriore gravame a suo carico, è rappresentato dal tormento di doversi occupare della sceneggiatura per un nuovo film, la trasposizione cinematografica dell’Odissea di Omero. Egli deve barcamenarsi tra due differenti visioni dell’opera: quella del produttore che vorrebbe una sceneggiatura in perfetto stile kolossal con tanto di mostri, donne nude, sangue ed avventura, e dall’altra parte quella del regista che invece interpreta l’Odissea come un drammone psicologico, strizzando l’occhio alle teorie di Freud sul subconscio, in cui la lontananza di Ulisse da Itaca è in realtà voluta e rappresenta la conseguenza della crisi matrimoniale tra Ulisse e Penelope. Per Riccardo, che odia scrive sceneggiature e che sembra accettare questo lavoro solamente per pagare le rate dell’appartamento e della macchina nuovi, il dilemma sta nel scegliere tra buttarsi a capofitto nella scrittura oppure abbandonare tutto, avendo dell’opera una terza versione tutta sua in contrasto con quella del produttore e del regista. Una visione assolutamente poetica e “sospesa nel tempo”, sulla falsariga dell’Ulisse descritto e rappresentato da Dante nel XXVI canto dell’Inferno. Lavoro e vita sentimentale sembrano così incastrarsi, tanto che Riccardo riveste la sua decisione di accettare o rifiutare la sceneggiatura, di un significato profetico, in grado di cambiare le sorti del suo matrimonio e riconquistare Emilia, fino a sovrapporre la sua persona con quella di Ulisse capace di sconfiggere i Proci per poi ricongiungersi con l’amata Penelope.

Nel disprezzo, così come in altre opere di Moravia, viene riproposto il tema della classe borghese italiana, quella che emerge prepotentemente nel secondo dopoguerra, desiderosa di conquistare una “felicità artificiale”, di trovare un appagamento dal possesso di beni, come nel romanzo appunto in cui Molteni aspira ad acquistare una casa nuova, una macchina, sacrificando le proprie aspirazioni lavorative al “dio denaro” e diventando in qualche modo schiavo del potere di un produttore cinematografico che non ha scrupoli nel piegarlo ai propri voleri. La stessa Emilia, sebbene intensamente amata e desiderata, viene descritta dal marito con parole non certo lusinghiere, pare anzi essere la causa delle scelte professionali di Riccardo (“non avevo sposato una donna che condividesse e comprendesse le mie idee, i miei gusti e le mie ambizioni; avevo invece sposato, per la sua bellezza, una dattilografa incolta e semplice, piena, come mi pareva, di tutti i pregiudizi e le ambizioni della classe dalla quale proveniva”) tanto che verso la fine del storia, viene inquadrata da Molteni come una “donna non civilizzata”, che incarna in sé atteggiamenti “primitivi”, degli archetipi, in cui la figura dell’uomo, del marito, assurge a quella di capo branco che dovrebbe essere in grado di difendere la propria compagna anche con la forza se necessario.

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Il disprezzo 2017-01-08 04:44:43 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    08 Gennaio, 2017
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La lucertola azzurra dei faraglioni

L’AMBIENTAZIONE: CAPRI

"Il disprezzo" (1954) di Alberto Moravia era inizialmente intitolato "Il fantasma di mezzogiorno": Godard l’ha portato sullo schermo nel 1963, in un film che ha come scenario Capri.
Un’isola alla quale il protagonista narratore del romanzo - lo sceneggiatore Riccardo Molteni - attribuisce un potere miracoloso: la facoltà di cambiare i sentimenti della donna amata, la moglie Emilia, che invece disprezza il coniuge... mentre "il miracolo dell'amore ... per esistere deve non soltanto accendersi nel nostro cuore ma anche in quello altrui".
In questo desiderio, completamente tinto dell'azzurro che impera a Capri, la lucertola azzurra assume i connotati di un talismano vivente, ma non così sarà in questo dramma... “Improvvisamente, ad una svolta, ci apparvero i Faraglioni e fui contento di udire Emilia dare in un grido di sorpresa e di ammirazione. Era la prima volta che veniva a Capri e sinora non aveva aperto bocca. Da quell’altezza le due grandi rupi rosse sorprendevano per la loro stranezza, simili, sulla superficie marina, a due aeroliti caduti dal cielo sopra uno specchio. Dissi ad Emilia, esaltato da quella vista, che sui Faraglioni si trovava una razza di lucertole che non esisteva in nessun altro luogo del mondo: azzurre a forza di vivere tra il cielo azzurro e il mare azzurro… La lucertola azzurra che descrivevo annidata tra gli anfratti delle due rupi diventò ad un tratto il simbolo di quello che avremmo potuto diventare noi stessi, se fossimo rimasti a lungo nell’isola: anche noi azzurri dentro il nostro animo dal quale la serenità del soggiorno marino avrebbe gradualmente scacciato la fuliggine dei tristi pensieri della città; azzurri e illuminati dentro di azzurro, come le lucertole, come il mare, come il cielo e come tutto ciò che è chiaro, allegro e puro.”
La scena finale si svolge nella Grotta Rossa: “La Grotta Rossa si divide in due parti: la prima, simile ad un ingresso, è separata dalla seconda da un abbassamento della volta; al di là di questo abbassamento la grotta piega a gomito e si addentra parecchio fino alla spiaggia che ne occupa il fondo. Questa seconda parte è immersa in un’oscurità quasi completa e bisogna abituare gli occhi alle tenebre prima di intravedere la spiaggetta sotterranea, colorata stranamente della luce rossastra che appunto dà il suo nome alla grotta.”

MORAVIA, I CLASSICI E I CONTEMPORANEI

A Capri si giunge perché il protagonista Riccardo Molteni viene ingaggiato per scrivere la sceneggiatura dell'Odissea. Si apre una discussione tra Molteni, il regista e il produttore su quale sia l'impostazione che il film deve avere.
Molteni vorrebbe prevalesse il rispetto (l'equivalente di quella che in diritto si chiama interpretazione letterale della norma) per lo spirito classico o la poesia implicita nell'opera omerica. Lo sceneggiatore dichiara la sua adesione alla raffigurazione di Ulisse nell'inferno dantesco (canto XXVI, sotto riportato).
Il regista Rheingold vorrebbe invece realizzare un film che privilegi gli aspetti psicologici della relazione tra Ulisse e Penelope. “Un film sui rapporti psicologici tra Ulisse e Penelope… Io intendo fare un film su un uomo che ama sua moglie e non ne è riamato”. Assumendo la teoria freudiana come strumento interpretativo: “è il subcosciente di Ulisse che via via crea ad Ulisse stesso dei buoni pretesti per star qui un anno, lì due anni e così via.”
Il produttore Battista punta invece sulla spettacolarizzazione, in sostanza mira a realizzare un kolossal che amplifichi gli elementi fantastici, mitologici ed erotici dell'Odissea (“Una storia per così dire spettacolare… questo ha voluto fare Omero”).
Nella perfetta architettura del romanzo moraviano, la disputa tripolare riproduce sia il dramma personale e coniugale di Molteni, sia la dialettica servo-padrone (“Battista era il padrone ed io il servitore e… il servitore tutto può fare, salvo disubbidire al padrone”) postulata dal potere del denaro nella società borghese (“Sono io che pago”).
“La qualità distintiva dei poemi omerici e in genere dell’arte classica è di nascondere tali significati e mille altri che possono venire in mente a noialtri moderni, in una forma definitiva che chiamerei profonda… la bellezza dell’Odissea sta proprio in questo credere nella realtà come è e come si presenta oggettivamente… in questa forma, insomma, che non si lascia né analizzare né smontare… il mondo di Omero è un mondo reale… Omero apparteneva ad una civiltà che si era sviluppata in accordo e non in contrasto con la natura… per questo Omero credeva nella realtà del mondo sensibile e lo vedeva realmente come l’ha rappresentato e anche noi dovremmo prenderlo com’è, credendoci come ci credeva Omero, letteralmente, senza andare a cercare riposti significati.”
“Joyce anche lui interpretò l’Odissea alla maniera moderna… e nell’opera di modernizzazione, ossia di avvilimento, di riduzione di profanazione, andò molto più lontano di lei, caro Rheingold… Fece di Ulisse un cornuto, un onanista, un fannullone, un velleitario, un incapace; e di Penelope un’emerita Puttana… e Eolo diventò la redazione di un giornale, la discesa agli inferi il funerale di un compagno di ribotte, Circe la visita ad un bordello, e il ritorno ad Itaca il ritorno a casa, a notte alta, per le vie di Dublino, non senza una sosta per pisciare ad un cantone… ma almeno Joyce ebbe l’avvertenza di lasciare stare il Mediterraneo, il mare, il sole, il cielo, le terre inesplorate dell’antichità… Mise tutto quanto per le strade fango di una città del nord, nelle taverne, nei bordelli, nelle camere da letto, nei cessi… Niente sole, niente mare, niente cielo… tutto moderno, ossia tutto abbassato, avvilito, ridotto alla nostra miserabile statura…”

Bruno Elpis

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Il disprezzo 2015-03-23 06:49:21 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    23 Marzo, 2015
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L'Odissea di uno sceneggiatore

Quest'opera pubblicata nel '54, dopo i testi prettamente neorealistici dell'aurore ed ormai al crepuscolo del Neorealismo stesso, se non è il più bel libro di Moravia, sicuramente è quello di maggiore leggibilità.
Viene trattata la crisi del rapporto fra uno sceneggiatore cinematografico (per ripiego economico) e l'amatissima moglie. Sullo sfondo un film da realizzare sull'Odissea, l'ambiguo mondo del cinema e Capri, sempre ammaliante in tutta la sua bellezza.

Lo scrittore, osservatore attento delle interferenze tra fattori socio-economici e meccanismi psicologici, entra nei meandri dei sentimenti di questa giovane coppia e ne analizza, con precisione quasi chirurgica, le dinamiche palesi e recondite, catturando il lettore fin dalle prime pagine e tenendolo poi ben ancorato per l'intera narrazione.

Si inizia dai tempi del pieno innamoramento, quando "...non ci giudicavamo: ci amavamo", con la constatazione che "la felicità è tanto più grande quanto meno la si avverte". Ma la passione non si è trasformata in amore duraturo: l'analisi delle cause è impietosa; le conseguenze formano un dramma che trova rispecchiamento nella tesi del regista, col quale il nostro protagonista dovrebbe collaborare, secondo cui ''Ulisse non voleva tornarsene a casa, non voleva riunirsi a Penelope''; anzi era partito per la guerra proprio per allontanarsi dalla moglie da cui non era più amato. Pertanto ''il suo spirito di avventura (...) in realtà non è che un desiderio inconscio di rallentare il viaggio''.

Moravia, fin dai primi anni '50, ritorna quindi all'acuta analisi dei sentimenti e dei comportamenti, riallacciandosi cosi alle sue prime opere e usando o anticipando intuizioni della semiologia, che vedrà in U. Eco lo studioso più noto. Possiamo dire che supera la crisi del Neorealismo affinando uno strumento per lui non nuovo, ma che pochi scrittori in Italia al tempo possedevano: la psicoanalisi. Questa, però, non si dispiega aridamente, bensì armonizzandosi con le risonanze di una vasta cultura e con l'ambientazione nel mondo del cinema, che l'autore ben conosceva, col ricorrente conflitto fra arte ed esigenze economiche di spettacolarità convenzionale.
La scrittura, rigorosa e analitica, ben si adatta all'indagine intrapresa.

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Il disprezzo 2015-01-13 08:37:27 Belmi
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Belmi Opinione inserita da Belmi    13 Gennaio, 2015
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La difficoltà della comunicazione nella coppia

"Il disprezzo" è un romanzo degli anni '50. Moravia rappresenta la società del tempo; sono cambiati i tempi ed i contesti ma la realtà nel suo insieme, come la descrive lui, è ancora molto attuale.

Riccardo Molteni è uno sceneggiatore che ha sempre avuto la passione per il teatro solo che per rendere più agevole e tranquilla la vita della moglie Emilia, decide, per soldi, di accettare di lavorare per il cinema, alle dipendenze del produttore Battista.

La sua è una vita normale finché non si accorge di un cambiamento:

"Questa storia vuole raccontare come, mentre io continuavo ad amarla e a non giudicarla, Emilia, invece, scoprisse o credesse di scoprire alcuni miei difetti e mi giudicasse e cessasse di amarmi in conseguenza"

Tutte le certezze di Riccardo vanno in frantumi ed il lavoro e la sua vita diventano intollerabili e insostenibili.

Questo romanzo è principalmente un'autoanalisi con pochi dialoghi. A tutti nella vita succede di farsi alcune domande, come fa Riccardo: "Come ho fatto per ridurmi così? A che punto sono arrivato?"

Moravia ci racconta delle difficoltà di vivere la vita senza più uno scopo, di accettare per necessità lavori senza passione, di come nelle coppie possa mancare il dialogo e la comunicazione.

All'interno del romanzo troviamo anche un'interessantissima interpretazione dell'Odissea nei personaggi di Ulisse e Penelope.

Moravia scrive chiaro e in maniera sintetica, poche descrizioni (le uniche sono dedicate ai quattro personaggi) e pochi dialoghi.

Quello che scrive, arriva. Dopo la fine della lettura, ho continuato a pensare a questo romanzo.
Il disprezzo mi ha fatto porre delle domande a cui sto ancora cercando le risposte.

Lo consiglio.

Buona lettura!!

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Il disprezzo 2012-04-10 09:12:38 Rosaliaa
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Rosaliaa Opinione inserita da Rosaliaa    10 Aprile, 2012
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Il segreto di Ulisse

Ancora più che in altri romanzi, in questo Moravia si distingue per le sue fini intuizioni. Egli è famoso per aver cantato di un particolare sentimento, gettonato nell'opera precedente, ma anche lo sarà anche in quella futura, quello dell'apatia. E' riuscito però anche a scrivere di importanti passioni e forti destini di vita, come in Agostino e La romana: Il disprezzo si colloca, almeno sentimentalmente, in quest'ambito. Lo schema della trama è prevedibile, una coppia di sposi che, dopo molta convivenza e in seguito a qualche ingrippo, si trovano a vivere un periodo di crisi irremovibile che porterà ad un definitivo distacco. Riccardo è un personaggio modellato vivacemente, un uomo che riesce a lasciar esplodere i propri sentimenti (pur senza rinunciare al marchio moraviano dell'analisi interiore) e a farsi guidare da essi in una disperata (proprio disperata!) ricerca della verità; Emilia, sua moglie, è costruita in modo credibile, è concreta e palpeggiabile. La magistrale vivacità dei personaggi, che può costituire già in sé un motivo per considerare un romanzo un libro davvero buono, si affianca all'elaborazione di una geniale cosmologia dell'amore coniugale, esemplificata dal buon vecchio Ulisse, indiscusso terzo protagonista del romanzo.
Sono solita a non aspettarmi grande partecipazione emotiva dalla lettura di Moravia, sempre così asciutto nella scrittura e razionale nel racconto; in questo caso mi sono stupita positivamente, non credendo di potermi aspettare tanta affettività e sensibilità in una sua opera non neorealista.

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