Narrativa italiana Romanzi Il maestro di Vigevano
 

Il maestro di Vigevano Il maestro di Vigevano

Il maestro di Vigevano

Letteratura italiana

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L'ambiente che il romanzo ritrae è quello dei maestri elementari, categoria che il mondo economico non ha toccato e che continuano a sperare nelle promozioni di qualifica, nella pensione, negli scatti del "coefficente", in mezzo a un mondo sempre più avido di benessere realizzato in gran fretta.



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Il maestro di Vigevano 2018-10-15 21:23:08 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    15 Ottobre, 2018
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Un maestro nel boom economico degli anni Sessanta.

Lucio Mastronardi, nato a Vigevano nel lontano 1930, mi ha sempre intrigato, per due motivi: primo perché è figlio della mia terra, della città dove sono nati i miei nonni e dove ho vissuto anni bellissimi, secondo perché non è riuscito ad avere quei riconoscimenti che avrebbe meritato e che, forse, gli sono stati tributati solo dopo la tragica scomparsa. Dopo anni ho riletto “Il maestro di Vigevano”, nell’edizione di Rizzoli del 1977 che comprende anche le altre sue due opere più importanti, “Il calzolaio di Vigevano” e “Il meridionale di Vigevano”, tutte pubblicate tra il 1962 e il 1964.
E’ la storia di un maestro elementare, Antonio Mombelli, e della particolare atmosfera in cui si trova a vivere, quella del boom economico del dopoguerra. A Vigevano l’industria calzaturiera impegna tutto e tutti; centinaia di aziende prosperano sfornando milioni di scarpe (oggi, ahimè, le aziende sono ridotte ad una quindicina e la crisi è palpabile: i cinesi vendono a bassi costi, si lavora per lo più per conto terzi), il povero Mombelli si arrangia con lezioni private, ma alla fine cede alle bizze di una moglie che sogna una vita migliore: si licenzia dalla scuola e con la liquidazione si lascia controvoglia tentare dal miraggio di facili guadagni iniziando una nuova attività come artigiano. Ma tutto sembra andargli storto: i tradimenti della moglie Ada, una brutta strada presa dal figlio Rino che finirà in riformatorio e infine la morte della moglie (gli confesserà anche che il figlio non è suo) lasceranno il poveretto solo e stordito, incapace di riprendersi e dare un senso ad una vita che tutto gli ha tolto. Troverà però il coraggio di riprendere il suo lavoro di maestro e di guardare al futuro con speranza perché, pensa, “ sono vivo, sono sveglio, respiro e guardo e sono qui, ancora qui, ancora qui” e, quasi con gioia, “ ne ho ancora tanta di vita”.
Mastronardi è figlio di una terra tosta, fatta di lavoro, di adattamenti, di speranze. Una terra dove la gente può sbagliare ma non si scoraggia, gente ostinata, caparbia, soprattutto nelle avversità. La sua scrittura riflette la sua indole: incisiva, immediata, un periodare che sembra elementare ma che nasconde saggezza ed autoironia. Grande l’interpretazione che Alberto Sordi ha dato del maestro nel film omonimo (1963) del regista Elio Petri. Tragica, come si sa, la fine dello scrittore: dopo periodi di instabilità mentale, litigi con un ferroviere, scontri con dirigenti scolastici, processi e un tentativo di suicidio, la scomparsa improvvisa dopo una passeggiata sulle rive del Ticino sulla cui riva venne ritrovato morto. Vale la pena di citare il necrologio che la sorella Letizia fece pubblicare sul “Corriere della sera”:
“Riposa finalmente in pace nella sua terra di Vigevano Lucio Mastronardi. Il suo spirito vive nel dialetto, nell’animo fiero delle donne di Vigevano, nei cieli del suo Ticino”.

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Il maestro di Vigevano 2018-08-21 10:36:43 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    21 Agosto, 2018
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"Catrame"

Duro e rabbioso, disilluso e amaramente ironico, “Il maestro di Vigevano” è un romanzo che non può passare inosservato. La penna di Lucio Mastronardi ci racconta una vicenda sullo sfondo della Lomellina, in provincia di Pavia, negli anni del boom economico, quando il tanto agognato benessere era sì diffuso ma, a conti fatti, non a portata di tutti.
Antonio Mombelli, maestro elementare con moglie e figlio a carico, è uno di coloro che, per mancanza di opportunità o di coraggio, sono rimasti esclusi da quell'agiatezza che trasforma in padrone ricco e rispettato persino l'uomo più rozzo e ignorante, mentre la città di Vigevano si affolla di grandi, piccole e piccolissime aziende artigiane operanti soprattutto nel settore delle calzature. La cultura invece non paga e lo stesso protagonista mantiene la famiglia con uno stipendio da fame, a cui si sommano gli esigui guadagni derivanti dalle lezioni private, nell'attesa degli assillanti scatti di coefficiente che portino alla pensione. Intanto, sua moglie Ada, sempre più insofferente a tutte le privazioni che la costringono, tra le varie cose, ad andare in giro con la biancheria intima rattoppata alla bell'e meglio, desidera una vita diversa e s'intestardisce a voler lavorare in fabbrica; Mombelli, però, ferito nell'orgoglio, non sopporta l'idea di vedere lei operaia né il figlio Rino garzone, per il quale sogna una futura carriera da impiegato di gruppo A.
Quello che lui chiama “catrame”, cioè una sorta di decoro piccolo borghese che impregna la gente e impone che la moglie di un maestro di scuola, così come quella del più pidocchioso dei borghesi, non debba lavorare fuori casa perché “chissà cosa dirà la gente!”, gli fa vivere il tutto con estremo disagio, anche per il fatto che lei possa guadagnare di più. È proprio questo subdolo “catrame” che ricorre spesso nella narrazione, tracciando un impietoso ritratto della società dell'epoca, piena di ipocrisia, bigottismo, perbenismo di pura facciata.
Con una scrittura vivace, introspettiva e capace di abbandonarsi a riflessioni d'una profondità a tratti sconcertante, l'autore dà vita a una storia drammatica che non risparmia niente e nessuno, nemmeno il mondo della scuola, tra queste pagine messo alla berlina per le sue logiche ottuse e talvolta spietate. Maestro elementare egli stesso, Mastronardi morì suicida nel 1979, come uno dei personaggi minori di questo suo romanzo. “Il maestro di Vigevano”, notato a suo tempo da Italo Calvino, era stato pubblicato da Einaudi nel '62; l'anno successivo ne era stato tratto un bel film interpretato da un sempre grande Alberto Sordi per la regia di Elio Petri. Consiglio, eventualmente, di guardare la trasposizione cinematografica dopo aver letto il libro. Davvero una bella scoperta, Lucio Mastronardi, autore forse rimasto un po' nell'ombra con il passare degli anni e meritevole di maggior attenzione.

“Cammino mentre dolce scende la sera; e la luna sale; ecco qui davanti a me il lungo corso Milano, pieno di biciclette e macchine e gente che si muove corre fila; quel muoversi filare e correre è il senso della loro vita; il significato di vita, penso. E il mio camminare ha pure un significato, penso. Ma non so quale significato attribuirgli a questo camminare. Forse perchè quel correre di quella gente fa capo a qualche cosa, a qualche azione e io invece cammino senza una meta... Penso ai soldi.”

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Il maestro di Vigevano 2017-05-15 18:32:50 ant
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ant Opinione inserita da ant    15 Mag, 2017
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La provincia italiana

Mastronardi evidenzia in modo chiaro e netto quelli che erano(e che in gran parte sono)i valori della provincia italiana(in questo caso la Lomellina)e cioè:1) L'ostentazione della ricchezza attraverso macchine, gioielli, pellicce 2)Il voler a tutti i costi eguagliare il tenore di vita di chi "sembra" più agiato 3) La disgregazione familiare tipica dei ns tempi, il protagonista perde prima la dignità e poi la famiglia. Un romanzo scritto negli anni 60, ma che si rivela attualissimo
Estrapolo una descrizione di Piazza Ducale di Vigevano fatta da Mastronardi
..."" il fare la vasca degli arricchiti ingioiellati, il loro tempo vuoto e vano la sera stravaccati sulle poltroncine, l’operaio seduto con l’industriale, entrambi soddisfatti, come se la ricchezza e la potenza dell’industriale si riflettessero su di lui""
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Il maestro di Vigevano 2017-04-02 19:36:14 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    02 Aprile, 2017
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Ore bruciate, tempo perduto

La penna intinta nel fiele di Lucio Mastronardi riflette lo stato di frustrazione di un perdente che finisce per sconfinare quasi nell’alienazione mentale.
E’ la cronaca della quotidianità logorante di un maestro di provincia vessato dal dispotismo saccente dei superiori, disprezzato dalla moglie per la sua inerzia, soffocato dal “catrame” , uno spesso strato di paura che di fatto paralizza ogni iniziativa.
Eppure, pagina dopo pagina, sorge il dubbio che la meschinità di certi personaggi non sia peggiore di quella dello stesso protagonista, anima in pena abbrutita dalle pastoie dell’abitudine:
“Mi accorgo che la mia vita è tutto un seguito di ore bruciate, di tempo perduto”.
Il ghigno che scorge sul viso della moglie non dev’essere così diverso dal suo, che vagheggia una vita diversa ma intanto sembra crogiolarsi nelle umiliazioni che subisce a casa e al lavoro e nella mediocrità delle chiacchiere tra colleghi a scuola e al bar.
Nessun riscatto nemmeno sul versante dell’affetto che prova per il figlio, sentimento superficiale che poco ha a che vedere con un autentico amore paterno e molto con la vanità personale.
La narrazione “sonora” sembra trasmettere la voce pacata e monocorde dell’io narrante, da cui ci si aspetta un gesto irrevocabile da un momento all’altro. Alla fine lo compie, a modo suo, sputando rabbiosamente sulla tomba della consorte e vedendo riflesso nello sputo, emblematicamente, il suo stesso volto.
Il romanzo, che per acutezza psicologica - o meglio psicoanalitica – ricorda Camus e Svevo, suscita profonda insofferenza, tanto che si arriva all’ultima, beffarda pagina con un senso di sollievo.

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Camus, Svevo.
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