Narrativa italiana Romanzi Il prato in fondo al mare
 

Il prato in fondo al mare Il prato in fondo al mare

Il prato in fondo al mare

Letteratura italiana

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Cesare Garboli 4 marzo 1861: parte da Palermo il battello a vapore Ercole, con a bordo Ippolito Nievo, in viaggio verso Napoli per riportare i documenti della spedizione garibaldina dei Mille cui aveva preso parte. Ma la nave Ercole nel corso di una violenta tempesta scompare nel nulla. Nessun superstite, nessuna traccia, nessuna inchiesta che riesca a capire cosa è accaduto. 5 marzo 1961: in occasione del centenario della scomparsa di Ippolito Nievo, Stanisalo, suo pronipote, viene abbagliato da un flash, che interpreta come un invito a riaprire le indagini su quella morte misteriosa. Stanislao Nievo dedica dieci anni della sua vita a raccogliere i materiali utili per ricostruire le fila di questo capitolo di storia patria. Così la vicenda di Nievo si sdoppia e si aggroviglia in tante storie diverse, e le ricerche non sono meno avventurose e romanzesche della fine leggendaria del vascello Ercole.



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Il prato in fondo al mare 2016-09-06 00:13:59 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    06 Settembre, 2016
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L’uomo era bruno, silenzioso e soave

Con “Il prato in fondo al mare”, Stanislao Nievo, nipote di Ippolito, vinse il premio Campiello nel 1975.
In questo romanzo Stanislao s’interroga sulla sorte dell’illustre antenato (“L’uomo era bruno, silenzioso e soave”), che perse la vita a soli ventinove anni durante il naufragio dell’Ercole, il vascello che doveva riportare a Genova l’autore delle “Confessioni di un italiano” con gli ultimi garibaldini rimasti in Sicilia dopo la spedizione dei Mille.

L’indagine personale che il nipote conduce (“Ha preso avvio cento anni dopo la scomparsa dell’Ercole, la nuova indagine”) esplora le possibili cause del misterioso inabissarsi del naviglio: “Sette tesi diverse. Non una coincideva con le altre… Una vera idra dalle sette teste, un’altra fatica d’Ercole in questa storia piena di analogie e di abbagli”.

Dopo la ricostruzione immaginata della tempesta nella quale incappò l’Ercole, Stanislao percorre tutte le vie – compresa quella dei sogni - per restituire alla storia una verità che sembra trafugata dagli abissi del Tirreno.
Lo scrittore approfitta di alcune immersioni sperimentali di batiscafi per perlustrare le profondità nelle quali anche i sensitivi indicano il probabile, oscuro destino dell’imbarcazione.
Nell’ultima discesa, la verità sembra a portata di sommergibile… poi un incontro con una creatura degli abissi, il cinto di Venere (“Uno ctenoforo straordinariamente diafano… Incredibile, sembra di plastica, guarda, si vede lo scheletro dentro”. “Lascialo andare, liberalo, urlai”) induce ad abbandonare l’obiettivo, che sembra sgretolarsi con i reperti del relitto, quasi a tutela dell’immensa solitudine dell’artista…

L’opera è composita: è una ricostruzione di fantasia, una descrizione meravigliata e naturalistica, una cavalcata sottomarina nella mitologia classica, un tributo a uno scrittore-poeta prematuramente scomparso.

Bruno Elpis

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... "Le confessioni di un italiano" di Ippolito N., antenato di Stanislao
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