L'amore
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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Lo Sposo la Sposa
Maurizio Maggiani, dopo aver pubblicato nel 2016 La Zecca e la rosa, torna con un nuovo libro: L’amore. Un testo in cui si celebra e si declina l’amore. L’amore, un po’ particolare, tra due persone: lo Sposo e la Sposa. Il testa narra con elegia e sapienza narrativa, di una giornata che pare qualunque, ma si scopre alla fine non esserlo, in cui un uomo racconta alla sua sposa il suo percorso di vita amorosa. L’amore: parola il cui significato è inseguito, indagato, ma sempre molto lontano e distante, perché in fondo mai del tutto compreso nella sua intima essenza.
L’amore che:
“ha costante bisogno di portare qualcosa che manca, di dare quello che non c’è.”.
E allora:
“quanto dolore amata mia per arrivare fin qui, e sono zoppo e quasi cieco per quanta strada ho fatto, per tutto quello che ho visto sulla strada. E quanta gioia, quanta allegria, e quanti decenni di sconsideratezza. Sì, anche questo è un fatto, i due sposi si amano senza peccato alcuno, e tutti i loro baci e tutto questo dirsi amato e amata è senza malizia e senza smanceria, è detto e fatto con candore.”
Lo sposo lavora, è occupato in ben due lavori: compra minerale di zinco sui mercati mondiali e scrive articoli di giornale. Ma non solo: coltiva l’orto, cucina ottimi manicaretti, va in bicicletta, e pensa. Pensa ai suoi vecchi amori, quelli che sono stati e non sono più, quelli che a sera tarda per farla addormentare, racconta, alla sposa nel “fatterello”:
“un fatterello per farla addormentare. E’ un capriccio della sposa, un capriccio che imbarazza lo sposo. Lo sposo non ama raccontare fatterelli, non a quell’ora della notte, non con le sue cose lasciate ammezzo in soggiorno. Peraltro non ama l’idea dei fatterelli in genere, pensa lo sposo di non avere all’occorrenza che dei fatti di una certa rilevanza da raccontare, fatti notevoli che richiederebbero ben altre circostanze e cure e attenzioni per essere narrati.”.
Ed ecco allora una galleria infinita di donne: dalla “Mari marina marosa, figlia del pesciaiolo”, alla Padoan, alla Patri, alla luxemburghiana Chiaretta a Ida la Bislunga, la più fascinosa, quella che ha sposato un maharajah, detta la Perla di Labuan, per cui:
“una volta avevo una ragazza con le fattezze di una cerbiattolona, si chiama Ida ed era alta e flessuosa, aveva in verità l’andatura e gli occhi di una giovane femmina di cervo, ed era leziosa e silvestre, bislunga ed imprevista.”
Un libro che è, anche, una canzone:
“Mi hai insegnato a volerti bene, hai voluto la mia vita, ecco, ti appartiene.”,
rigorosamente sentita da quel mangianastri, tanto amato e ora tanto rimpianto. E su tutto vola veloce il giudizio della Storia, dei fatti, dell’anarchia, della rivoluzione, narrato da un figlio del popolo, per cui:
“Giustizia proletaria, quante volte l’ha urlata, ritmicamente, slancio incalzante, quante volte l’ha agognata nei tempi del fervore, tempi di giovinezza in dissidio, popolo in rivolta, l’ordine è assassinio, apprestiamoci a prendere il potere. “.
Un testo la cui lettura non mi ha proprio entusiasmato, con quei protagonisti senza nome, che ho percepito lontani, privi di materialità e di essenza. Scritto con un’ottima prosa, molto poetica ed elegiaca. Manca di qualcosa, lascia con una mancanza, percepita e mai soddisfatta. Buono l’argomentare di amore e sfondo storico, ma troppo etereo, vuoto, inessenziale, incompleto.
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Fatterelli scialbi
Strano questo libro. Racconta la storia di una coppia, marito e moglie e del mondo con cui lui rievoca i suoi passati amori, quelli che nel libro vengono chiamati fatterelli. Si resta un po’ disorientati in questa sterminata mitologia dei suoi trascorsi, forse perché, dal titolo del libro, ti aspetti storie più romantiche, mentre invece quelle raccontate sono quasi più tutte delle gag. La cosa che più mi ha colpito è l’indefinitezza dei protagonisti, che vengono chiamati lo sposo e la sposa. Quasi a sottolineare l’anonimato più totale di queste figure che restano a mio avviso totalmente prive di qualsiasi colore.
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Quel sentimento chiamato amore
Uno sposo, una sposa. Una notte, la declamazione dell’amore. Gli amori del passato e gli amori del presente. L’intero romanzo, nell’arco di una giornata. Una giornata che può apparire quale una come tante quando in realtà si scopre non esserlo. È un mettersi a nudo, una riscoperta di sé. Perché lo sposo con questa autocoscienza cerca di capire quel sentimento che è l’amore e soprattutto riesamina passo passo come è arrivato a comprendere che cosa questo sia, come lo si possa definire e perché. Quanta gioia, quanta allegria, quanta sconsideratezza per poi arrivare a lei. L’unica, il grande amore. In età adulta. E poi, il fattarello. Quel piccolo ma inevitabile fattarello che si decide a raccontare, perché è ora di raccontare. Le brutture e le bellezze. I dolori, le gioie. Il tutto in una prosa unica che è una ballata. Un unico difetto: la spersonalizzazione. Perché nella lettura manca quel senso di empatia, di immedesimazione. L’opera scorre e scivola sulle spalle del lettore eppure, eppure resta lì, fatica ad ingranare a conquistare. È una cascata di emozioni che si osservano da lontano senza esserne travolti. Peccato perché altrimenti sarebbe stato un elaborato a dir poco indimenticabile.
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