Narrativa italiana Romanzi La mia unica amica
 

La mia unica amica La mia unica amica

La mia unica amica

Letteratura italiana

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La trama e le recensioni di La mia unica amica, romanzo di Eliana Bouchard edito da Bollati Boringhieri. In un giorno di ottobre due bambine si trovano a condividere l’unico banco rimasto libero proprio accanto alla cattedra; ci rimarranno per nove mesi, tanto durerà la loro nascente e progressiva amicizia, segnata da provenienze sociali molto diverse. Il conflitto tra loro sempre in agguato nasconde la tenacia di un sentimento purissimo, talmente forte da resistere per un tempo molto superiore alla durata di quell’anno scolastico. Nei dialoghi delle due amiche si condensano i temi eterni del bene e del male, dell’odio e della gelosia, dell’invidia, della conoscenza, e il rovello tagliente della verità. Vale più la verità o l’amicizia? Su questo e altri nodi si avvolge e si svolge l’intera storia, in compagnia di una natura che occhieggia dalle finestre e spinge, per entrare e infrangere le barriere del sapere. Sullo sfondo si muovono i compagni di scuola, descritti nelle forme caricaturali così congeniali alla perfidia delle menti infantili; una maestra regna sovrana, arbitro indiscusso di una corte in eterno subbuglio. L’anno della grande eclissi offre alla classe un’occasione, una sfida, e tutti in fila, su per la montagna, chi con un binocolo, chi con un vetrino affumicato, si inerpicano sul viottolo incerto della conoscenza. Non lontano dall’edificio scolastico, tuttavia, saettano gli slittini di legno raspando la neve, sfidando la sorte e quindi la vita, nel punto di incontro del piacere sfrenato e del botto mortale. L’esperienza dice che è bene non incontrarsi mai più, dopo che l’esistenza ci ha piegati in forme talvolta non più riconoscibili, eppure la scoperta di una minima traccia dell’altro può far risuonare, improvvise, le corde del cuore, e riportare alla mente le sensazioni e le immagini di passioni non spente.

Eliana Bouchard, dopo un’infanzia trascorsa a Rorà, non lontano dal confine francese, oggi vive e lavora a Roma. Con il suo primo romanzo, Louise. Canzone senza pause pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2007, è stata finalista al premio Campiello 2008.



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La mia unica amica 2014-08-16 13:49:31 Celeste Boca
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Opinione inserita da Celeste Boca    16 Agosto, 2014

Bello con qualche riserva

In questo romanzo ho trovato elementi negativi e altri positivi; i secondi però prevalgono sui primi, per cui secondo me il bilancio è in attivo. La trama è piuttosto esile: parla del legame che si instaura fra due bambine di diversa estrazione sociale e provenienza geografica che si trovano, nel secondo dopoguerra, a condividere per un anno scolastico lo stesso banco in una piccola scuola di montagna piemontese e ad affrontare la diffidenza dei bambini indigeni. Soprattutto una delle due è emarginata: Stella, perché veneta e quindi chiamata “mangiapolenta” e perché reagisce male all’ostracismo. L’altra, meno aggressiva e quindi più accettata, è la voce narrante al presente indicativo, l’intera vicenda è vista attraverso i suoi occhi. Tra gli elementi positivi vi è lo stile, perché interpreta perfettamente quello che i manuali per scrittori predicano: mostrare e non descrivere. Dei (pochi) avvenimenti viene messo a fuoco tutto ciò che attrae o colpisce l’attenzione della narratrice, mentre resta sfocato il resto, compresa la sua famiglia, che c’è ma non si vede. La vicenda si svolge prevalentemente nella classe, nei rapporti fra la saggia maestra, chiamata “la nostra regina”, e i compagni, anch’essi senza nome proprio, ma identificati con caratteristiche fisiche o comportamentali: la pertica, la volpe, il serafino, l’anima in pena. Pagina dopo pagina la bambina narrante, mentre analizza i propri sentimenti verso la compagna, le offre la propria amicizia che poco per volta viene accettata. Il loro rapporto si approfondisce, vengono trattati temi fondamentali come l’onestà e la religione e affrontati episodi sgradevoli con i compagni stolidamente ostili.
Qual che mi ha lasciata perplessa, e quindi fa parte degli elementi negativi, è il lessico adottato, assolutamente piacevole se ad utilizzarlo non fosse una bambina delle elementari. Ecco un brano a titolo di esempio: "La notte antartica muove il sipario di interrogativi, lo fa scivolare sulla figura di Stella e avvolge il tre alberi imprigionato dai ghiacci; il fasciame scricchiola in modo sinistro, assediato da banchi imponenti che, scontrandosi, imprimono l'uno contro l'altro una pressione talmente feroce da portare i giganti di vetro a sollevarsi sempre più in verticale, a lanciarsi nel cielo in forma di onde furenti rapprese dal gelo. La tenaglia mortale stringe la chiglia, sale sui fianchi e temo, per la prima volta dall'inizio del viaggio, di dover abbandonare il veliero se la banchisa non accenna a spezzarsi." In questo libro non ci sono gnomi ed elfi, ma coboldi; non gabbiani ma skue. Si arriva all’assurdo di definire le palpebre “coperchi degli occhi”. Altro elemento negativo è l’esagerato dilungarsi su eventi minimi: l’infilarsi sotto le coperte occupa quattro pagine; mentre positivi sono alcuni ricordi dell’autrice che appartengono anche a me, come l’eclissi del 1961 (anch’io fui condotta dalla mia maestra con le mie compagne fuori dalla classe per assistere a quel fenomeno) o “l’inaudita delizia” di succhiare il latte attraverso un grissino. Soprattutto lo stile troppo ricercato mi ha disturbata non poco, lasciandomi incerta fra proseguire o abbandonare la lettura, quando ho incontrato un piccolissimo svarione che mi ha riconciliata col romanzo e mi ha permesso di goderlo - quasi - fino alla fine: la bambina osserva una macchia sul muro e le sue “sfumature marroni”, quando si sa che marrone come colore resta invariato, alla pari di rosa, viola e ciclamino.
Un’altra cosa che non mi è piaciuta, ed ecco il perché di quel quasi, è l’ultimo capitolo, ambientato dopo molti anni, quando la narratrice si imbatte casualmente in una mostra d’arte dell’antica compagna della quale non aveva saputo più nulla: mi è sembrato superfluo, a mio parere la vicenda si chiudeva meglio con la partenza di Stella alla fine dell’anno scolastico.

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