Narrativa italiana Romanzi La quinta stagione è l'inferno
 

La quinta stagione è l'inferno La quinta stagione è l'inferno

La quinta stagione è l'inferno

Letteratura italiana

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Il bandito Bantine Bagolaris ritorna a Maragolò, in Barbagia, con un proiettile confitto in testa. Vuole raccontare al figlio il destino che gli ha segnato l'esistenza, ma lo farà solo a patto che il figlio giuri di non rivelare mai la sua confessione. Sappiamo così che il giovane Bantine, appena sposato ed entrato nella criminalità locale, deve affrontare un lungo periodo di latitanza, minacciato dalla ricca famiglia dei Gunzanes. Primula Rossa della Barbagia, Bantine viene poi identificato ed è costretto a riparare nel continente. Giunto a Roma, viene preso sotto l'ala protettrice del bandito er Fiamma e fa banda con Alfio er Cannoniere, Serafino er Corvetto e Peppe er Giunco, eseguendo ordini che arrivano da sempre più lontano. Uniti da un legame solido e misterioso, i Quattro dell'Apocalisse, come sono stati ribattezzati, non hanno più bisogno di mediazione: credono di poter agire da soli, ma soprattutto conferiscono sempre più alle loro gesta il crisma dell'atto di giustizia contro la ricchezza e contro i potenti. Ed è proprio allora che torna il fantasma di Celestinu Gunzanes.



Recensione della Redazione QLibri

 
La quinta stagione è l'inferno 2014-03-03 12:03:23 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    03 Marzo, 2014
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Nemici pochi ma buoni

Bantine Bagolaris torna a casa, nella sua Sardegna, per ricongiungersi al figlio ed alla moglie.
Ci torna con un proiettile conficcato in testa, le ultime ore per confidarsi con l'amato, sconosciuto figlio da cui si separo' in tenera eta' per darsi alla fuga. 
Bantine il ricercato, il delinquente, l'assassino.

Appetitosa la quarta di copertina, C.u.b. chiama Base : we have a problem.
Il problema sta nel fatto che o io non ho capito il libro, o e'  il libro che non si presta ad una lecita  e fisiologica comprensione . Quale sia la soluzione non saprei, la certezza e' una e tagliente: abbiamo un problema ( in plurale maiestatis, ovvviamente).
In primis vorrei capire - perche' non l'ho capito proprio- se questo e' un libro drammatico o tragicomico, la differenza e' immane, preoccupante il dubbio.
Il clima della narrazione ricorda molto la trattoria del Pozzetto di turno in "Ragazzo di campagna",  tovaglia a quadretti bianchi e rossi, due belle fette di salame nostrano, una caraffa di Lambrusco e via discorrendo. Il punto e' che qui si narra del passato di un uomo, di furti, di omicidi, di rapimenti, di violenza gratuita tra scelte e rimpianti, non della partita di Coppa Italia.
Inoltre non si trascuri il fatto che l'io narrante e' un padre sul letto di morte, che si rivolge al figlio in un lungo monologo. 
Ho avvertito una sorta di conflitto costante ed ingarbugliato tra contenuto e impostazione. 
Gradevole l'ambientazione sarda e le descrizioni ad essa rivolte.
Se dovessi darvi un parere, direi                         .

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La quinta stagione è l'inferno 2014-04-25 08:33:07 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    25 Aprile, 2014
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Le confessioni di un malandrino

Dopo Angelo Branduardi, menestrello della canzone italiana, ci pensa Salvatore Niffoi – autore pluripremiato, già Premio Campiello nel 2006 con “La vedova scalza” – a narrare le malefatte di un bandito: Bantine Bagolaris, oriundo della bella e selvaggia Barbagia. Ma il romanzo di Niffoi – a differenza dell’opera del cantautore da me ricordata per mera assonanza di titolo – è tutt’altro che lirico.

Dopo una vita di malefatte e latitanza, Bantine il bandito torna ferito a casa propria e, sotto l’incalzare della morte, racconta la propria vita al figlio ventenne, con il quale non ha mai vissuto (“Il giorno in cui sei venuto al mondo ho fatto appena in tempo a guardarti negli occhi, per capire se erano dello stesso colore dei miei”) perché ricercato fin dal giorno della nascita (“Abbiamo un mandato di cattura per Bantine Bagolaris”).
Dopo qualche cenno all’infanzia difficile (“Il poco che ho avuto dalla vita l’ho dovuto sempre scorticare come il sughero dall’albero”), il bandito narra delizie e dolori del “vivere alla macchia”: avendo ucciso un uomo, trova ospitalità presso un amico sardo (“Visto da lontano l’ovile sembrava un nido di falchi”), in una località incantevole (“In quella cala c’era un laghetto d’acqua dolce e un bosco d’oleandri, dove i fiori cadevano giù come stelle”) ove vive una breve storia d’amore con un’ambiziosa giornalista inglese (“Gli articoli con l’intervista alla Primula Rossa barbaricina erano sulle prime pagine dei quotidiani isolani e nazionali”).
Per non essere arrestato, ripara sul continente ove compie misfatti con i “quattro dell’Apocalisse”, inizialmente su commissione di “Fausto Caccioli, noto er Fiamma per le sue idee politiche poco democratiche e la sua abilità nel maneggiare il cannello della fiamma ossidrica”.

Sfilano così, tra ricordi inquinati da un’improbabile poesia e i deliri della febbre che assedia il morituro, l’esecuzione di un faccendiere, il rapimento con fine tragica di un industriale, l’assassinio di un cliente durante una rapina in banca e l’agguato mortale a un ministro… tutti raccontati senza vergogna al figlio!

Il breve romanzo non mi ha coinvolto, orientato com’è a descrivere azioni delittuose e personaggi della malavita. La figura del bandito-poeta risulta troppo improbabile. La dimensione che più mi avrebbe potuto interessare – ossia il rapporto con il figlio - rimane sullo sfondo di un soliloquio (“Tu dirai, bel padre mi è capitato, è scappato il giorno della mia nascita, scappa pure in punto di morte…”) i cui intendimenti mi sono risultati piuttosto oscuri.

Bruno Elpis

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