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Le pagine strappate Le pagine strappate

Le pagine strappate

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È la storia di un padre e di una figlia, lui affermato dirigente, lei ultima nata di un matrimonio come tanti, con una madre ombra del marito, dedita alla famiglia, e con due sorelle più grandi e già sposate. Federica frequenta il primo anno di università, si muove e si afferma con lucidità ma senza passione, guarda e giudica spietatamente le debolezze dei familiari e soffre per la mancanza di senso da cui ogni scelta e ogni parola sembrano caratterizzate. Tanto che le pare inevitabile ridurre al minimo, soprattutto in famiglia, le proprie manifestazioni vitali e in particolare verbali. Solo col padre si stabilisce un colloquio epistolare sospeso in difficile equilibrio fra una sorta di complicità intellettuale e un bisogno d'affetto che non si sa dichiarare. Equilibrio però presto spezzato perché la volontà di non parlare si trasforma d'un tratto in impossibilità di parlare; si scoprirà la ragione solo nelle ultime pagine.



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Le pagine strappate 2016-04-05 08:57:53 SARY
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SARY Opinione inserita da SARY    05 Aprile, 2016
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Una famiglia

Una storia di ordinaria infelicità. Una famiglia benestante, figlie innamorate della figura paterna presente solo economicamente e per questo perennemente ferite.
Un fatto sconvolge il già precario equilibrio mentale della figlia minore, le parole muoiono in gola, capire cosa è successo è la missione dei cari attorno al capezzale. Tutto il male, il dolore, il bisogno, l’odio esplodono in quel momento, aggravando la situazione e minando i difficili rapporti.
Tentare il dialogo è un’impresa epica, cercare la fiducia e desiderare le confidenze della figlia/sorella è troppo tardi. I personaggi grattando la superficie, spezzandosi le unghie, ingoiando bile, porteranno alla luce la verità, con pro e contro annessi.
Una famiglia che non convince, nella quale sincerità, condivisione e affetto non sono previsti. Tutto scorre privo di colore e toni; l’autrice è parsimoniosa nelle spiegazioni, si parla di depressione senza in realtà nominarla, della malavita in netto contrasto con la buona società frequentata dalla famiglia ma senza specifiche. Irritano la mancanza generale di interessi e sentimenti autentici.
Direte voi cari lettori, certo ma la malattia è questo, una coperta grigia e, appunto, l’assenza di linfa vitale. E io vi rispondo che se fosse collegato solo alla ragazza depressa non potrei essere più d’accordo, ma anche le altre comparse sono così e ci sono più punti di vista. Avrei preferito trovare dialoghi costruttivi, probabili soluzioni, approfondimenti o anche solo un forte impatto emotivo.
La Comencini ha uno stile tutto suo, spigoloso, sa spiazzare, irritare, graffiare e a volte anche annoiare. Sono consapevole che è una penna di alto livello, infatti questo libro è impegnativo, di faticosa comprensione, credo di non essere stata capace di apprezzare il suo valore, ma la piacevolezza è personalissima e io, tra queste pagine, non l’ho provata. Mi ha ricordato un’altra sua opera, “Quando la notte”, nulla a che vedere con “La bestia nel cuore” in termini di intensità.
Concludendo, una lettura che non mi ha sedotta, sconsigliata.

“Ho sempre detto solo il succo dei pensieri nel migliore dei casi, più spesso il contrario perché temevo i miei fossero tropo incerti. Oggi penso che se ognuno confessasse i propri dubbi forse ci sarebbe più certezza in giro.”

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