Narrativa straniera Romanzi Denti di leone
 

Denti di leone Denti di leone

Denti di leone

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Su una collina piena di fiori gialli, nel recinto di un vecchio tempio buddista, c'è una clinica psichiatrica. Cinque volte al giorno i rintocchi della campana del tempio portano al mondo esterno la voce dei pazienti. Ascoltando quei suoni, la madre e il fidanzato di Ineko - che hanno appena affidato la giovane alle cure dei medici - si interrogano sul suo dolore e sulla sua malattia, l'asomatognosia: dalla vista le scompare improvvisamente il corpo della persona amata. Sulla via del ritorno, Hisano e la madre di Ineko cercano in quei suoni le vibrazioni del suo animo. Il loro dialogo - nitido e asciutto - evoca con acuminata delicatezza eventi e protagonisti del passato, fra i quali si staglia la figura del padre di Ineko, il colonnello Kizaki Masayuki, soldato fedele a un Giappone ormai scomparso, con la sua tragica morte. Un passato in cui Hisano scava ostinatamente alla ricerca delle fratture che hanno messo a repentaglio la mente della sua innamorata e il loro amore in boccio.



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Denti di leone 2019-12-18 15:42:04 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    18 Dicembre, 2019
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L'ultimo petalo, usignolo dei fiori

“Facile è entrare nel mondo del Budda, difficile in quello dei demoni”.

Se il bene e’ luce, il male è oscurita’.
Il gracile vecchio siede a terra e sui tatami srotola fogli di giornale, dove dipinge sempre gli stessi otto caratteri. Tutta una vita per varcare la porta del regno dei demoni, ambire al buio, tutto attorno una collina dorata di denti di leone. I malati psichiatrici suonano la campana del tempio, l’urlo è al mondo per salvarsi dall’oblìo, tintinna Ineko colpendo con mano fragile ed inesperta mentre la madre, estranea al rimpianto, si allontana.

Il cuore del romanzo si snoda tra una figlia malata, una madre decisa a seguire il parere medico, un promesso sposo convinto che la migliore cura sarebbe una vita d’amore con la sua donna.
Le premesse denotano il dramma, non fosse che la penna di Kawabata comprime la sciagura, rendendo il contesto piu’ mite e così ameno agli occhi occidentali.
Letto con un filo di voce in una lingua sconosciuta, ascoltato con l’orecchio ovattato di un udito gravemente compromesso.
Incantevoli gli angoli che si celano allo scoccare di certe pagine, come mosso dal balzo di un vecchio e pigro cucù di indaco e seta, il pennello ci offre stralci perpetui. Si tratta di petali e fiori, dettagli su cui l’autore ama trattenersi in molte sue opere.
Bellezza non e’ soltanto osservare le lacrime dagli intagli sulla corteccia di un albero secolare, non e’ soltanto provare pietà per l’immobile camelia. Bellezza e’ che in questo romanzo i protagonisti ne discutano con naturalezza, in tiepido fervore.

Certo non il miglior lavoro del Nobel giapponese, il libro e’ incompiuto trattandosi infatti dell’ultima sua opera prima del suicidio. E’ comunque un tassello mancante per chi non solo ha letto, ma colleziona con affetto l’opera sua intera.
Ho cercato fra le righe, con inspiegata trepidazione e insensata ambizione, un nesso con l’epilogo della sua esistenza fino alle ultime pagine in cui finalmente leggo “La vita umana, invece, e’ così breve!”.
Mi si appanna la vista mi emoziono rabbrividisco, torno al quel biglietto di addio che l’amico Mishima lasciò prima di commettere il seppuku: “La vita umana è breve, ma io voglio vivere per sempre”. Poi il finale tronco, come la vita soffocata dal gas.

Sfiorando sulla punta le sue anziane dita per un ultimo tocco, non ho trovato risposte ma forse una strada sì, racchiusa in una strofa che suonava così: The answer, my friends, is blowing in the wind.

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