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Il tagliapietre Il tagliapietre

Il tagliapietre

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Scritto alla fine degli anni Ottanta, poco dopo Meridiano di sangue, pubblicato nel 1994, contemporaneamente alla Trilogia della frontiera, il dramma in cinque atti Il tagliapietre non ha avuto la stessa fortuna dei capolavori suoi coevi e non ha mai visto una rappresentazione scenica se non parziale. Perché? Ben Telfair, protagonista dell'opera nonché suo deus ex machina, chiamato a riflessioni dall'alto peso specifico, è uno scalpellino nero poco più che trentenne che ha abbandonato gli studi in psicologia per dedicarsi alla lavorazione della pietra come suo nonno, l'ultracentenario Papaw. A legare i due uomini non c'è solo l'arte della costruzione muraria - «il mestiere» come Papaw ama definirlo, quasi non ve ne fossero altri. Ciò che Ben ha scelto di abbracciare è un intero sistema di valori, improntato a rettitudine e onestà. Il resto della famiglia ha scelto diversamente: la moglie di Ben, Maven, ambisce alla professione di avvocato; suo padre, Big Ben, alla pietra ha preferito il cemento e le ricchezze che è in grado di produrre, mentre suo nipote, Soldier, ha fatalmente ripudiato un materiale come l'altro. Ben ha radici solide e crede di poter aggiustare tutto. Ma non può. Per quale ragione, dunque, questo quintessenziale paladino mccarthiano non ha mai trovato posto su un palcoscenico? Troppo ricco il linguaggio, è stato detto, dilatato fra il dialetto del Sud e la solenne prosa biblica, troppo metafisico il sottotesto, troppo ardito l'alternarsi dei due Ben sulla scena. Forse, invece, Il tagliapietre ha solo scontato un gap temporale. Ora, dopo i dialoghi serrati di Bianco e Nero in Sunset Limited e la resilienza testarda del padre in La strada; dopo le struggenti peregrinazioni di Bobby Western nel Passeggero, è tempo che anche Ben Telfair si unisca alla schiera degli eroi mccarthiani che portano il fuoco e che Il tagliapietre vada a occupare il posto che gli compete.



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Il tagliapietre 2025-09-02 09:39:44 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    02 Settembre, 2025
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Parabola prosaica in cinque atti

Classe 1995, “Il tagliapietre” altro non è che un dramma teatrale scritto da Cormac McCarthy e ripubblicato postumo alla morte dell’autore da Einaudi. È un testo che al momento della sua pubblicazione non fu ben accolto dal pubblico, non suscitò nemmeno un particolare interesse da parte della critica. A tal proposito basti pensare che, seppur trattasi di una sceneggiatura di carattere teatrale, mai ha ricevuto una rappresentazione in teatro.
Tra le ragioni che al tempo non portarono a una sua positiva accoglienza vi sono prevalentemente tre motivi ostativi. Un primo è radicato nello stile narrativo che per quanto amato nell’autore è in questo caso fin troppo ricco e articolato a causa di una prosa biblica e a causa dell’uso di uno slang/dialetto non semplice da apprezzare, un secondo rimanda alla metafisica, già trattata dal romanziere come ad esempio in “Sunset Limited”, ma certamente non semplice da percepire e non facile da “digerire” da tutti, a maggior ragione se il prosaico si mixa con la religione sino ad assumere una sfumatura metaforica, infine la complessità dell’opera che viene pensata dall’autore quale un personaggio con doppia rappresentazione.
Dunque, “Il tagliapietre” è in primis una vera e propria sceneggiatura intrisa di dialoghi, lirismo e significati da saper cogliere. Ancora, l’atmosfera che ci viene descritta ben si fonde con gli stati d’animo dei tanti personaggi che vengono narrati. Questo favorisce la potenza narrativa che porta alla riflessione. Molteplici anche le tematiche che oscillano tra il retaggio familiare, il conflitto con la tradizione, l’individualità, la società moderna, il lavoro, le scelte di vita di ogni singolo personaggio.
Dramma in cinque atti, “Il tagliapietre” si colloca in una delle stagioni più feconde di McCarthy, subito dopo “Meridiano di sangue” e contemporaneamente alla “Trilogia della frontiera” (composta da “Cavalli selvaggi”, “Oltre il confine” e “Città della pianura”). Protagonista dello scritto è la famiglia Telfair, giunta a Louisville, Kentucky, Carolina del Sud. La pièce si ambienta prevalentemente nella cucina di casa, protagonista principale è Ben, nipote dell’ultracentenario Papaw, trentenne che ha rinunciato agli studi universitari per fare lo scalpellino e cioè il lavoro del nonno. Il testo assume la veste di parabola biblica in cui Papaw assume il ruolo dell’Altissimo e Ben il ruolo di Cristo. Big Ben, di contro, rappresenta Giuda che preferisce il cemento e gli affari loschi al mestiere del padre e del figlio. Tutto ruota attorno al mestiere che si trova all’origine del tutto. L’uscita di scena del patriarca porta inevitabilmente al peccato e alla morte. Non mancano, ancora, riflessioni sulla condizione delle persone di colore e delle donne nonché una forte retorica che a tratti risulta pesante e rende lo scritto farraginoso.

«Se non fosse stato per lui avrei fatto l’insegnante… Il mestiere non era nei libri. Ce lo tenevamo stretto al cuore. Ce lo tenevamo stretto al cuore ed era come un potere e sapevamo che non ci avrebbe tradito.»

Altra cosa che può dividere il lettore è proprio la scelta dei temi. Tra queste pagine siamo davanti a temi più tradizionali e meno “originali”. Il tratto più originale è ravvisabile, infatti, nella scelta narrativa e quindi non anche nella riconoscibilità delle tematiche.
“Il tagliapietre” è un testo che ricorda molto gli ultimi lavori dell’autore e in particolare “Il passeggero” e “Stella Maris”. È un testo dove prevale l’aspetto metafisico e il concetto di destino ineluttabile. È un elaboratore che fa riflettere ma anche soffrire perché obbliga il lettore a confrontarsi con l’anima più nascosta dell’essere umano mixando modernità e tradizione.
Non è un testo che mi sento di consigliare come primo titolo di McCarthy, è uno scritto a cui avvicinarsi dopo aver letto un poco della sua produzione. Resta però un dramma teatrale da conoscere e con cui approfondire uno degli scrittori più interessanti della nostra contemporaneità e che certamente non può mancare a chi ne ha apprezzato i vari lavori.

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