JR JR

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Letteratura straniera

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L'undicenne JR crea un gigantesco impero economico grazie a una serie di speculazioni finanziarie fittizie. Gaddis racconta le mirabolanti invenzioni del bambino, che impersona il culto del denaro in cui è cresciuto, e della folla di personaggi che fanno parte del suo mondo: affaristi, ereditiere, artisti, tutti catturati in quella sorta di trappola che è il denaro, capace di imprigionare tutto e tutti. Il primo affare JR lo realizza rivendendo all'esercito 9000 forchette da picnic, originariamente appartenenti alla marina. Un suo compagno di scuola gli chiede: "Ma se l'esercito le voleva così tanto perché non se le sono comprate direttamente dalla marina?", al che JR risponde: "Come faccio a saperlo, si fa così e basta". Perché "il trucco è fare in modo che i soldi degli altri lavorino per te".



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JR 2019-10-08 06:37:11 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    08 Ottobre, 2019
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NON PER SOLDI MA PER DENARO

«[La tua insegnante] ti ha mai spiegato che cos’è il denaro?»
«Be’, questo lo sanno tutti, cioè, un momento, ecco, questo quarto di dollaro è…»
«Proprio quello che credono quasi tutti i fessi, maledizione, la prossima volta dille solo che il denaro è il credito, capito? […] Quando ti dirà che i tuoi soldi dovrebbero lavorare per te, dille che il trucco sta nel far lavorare per te i soldi degli altri, capito?»

Quello del self made man, dell’uomo che si è fatto da solo, è uno dei miti più solidi e importanti della cultura americana. Da John Rockefeller, l’uomo d’affari che, partendo dal nulla, è arrivato a possedere l’1,5% dell’intero prodotto interno lordo degli Stati Uniti, a zio Paperone, il quale sul suo primo “decino” (la moneta da dieci centesimi di dollaro) ha costruito una fortuna stratosferica simboleggiata dal deposito zeppo di fantastiliardi che troneggia su una collina di Paperopoli, tante sono le figure, reali o immaginarie, che stanno a testimoniare la forza e la pervasività del sogno americano, vale a dire che chiunque, con la propria determinazione e il proprio talento, può diventare ricco e raggiungere fama e successo. William Gaddis ha portato alle estreme conseguenze questo concetto, facendo di un ragazzino undicenne il protagonista della sua amara satira sul mondo degli affari e sul capitalismo. JR non è un brillante studente di Harvard, ma al contrario un moccioso come tanti, che dice parolacce in continuazione, si scaccola il naso in pubblico e parla in modo sgrammaticato, senza cultura e senza educazione (i suoi genitori sono delle figure totalmente assenti). Egli però possiede un innato, istintivo, quasi rabdomantico senso degli affari e, prendendo alla lettera il cinico insegnamento impartitogli da un losco manager nei gabinetti di una società di Wall Street, dove si è recato in gita scolastica con la sua classe, riesce in breve tempo a costruire un vero e proprio impero finanziario: utilizza ad esempio l’azione comprata dalla sua scuola al fine di dimostrare agli studenti come funziona l’economia americana per intentare una causa alla società, ricavandone un ingente indennizzo in via transattiva, acquista per posta una partita di posate da picnic di cui la Marina intende disfarsi per rivenderla subito dopo all’Esercito, coi soldi ottenuti compra azioni di società decotte per poter sfruttare fiscalmente le perdite pregresse ed ottenere altri prestiti dalle banche, e destreggiandosi come un prestigiatore tra agevolazioni tributarie e speculazioni immobiliari, prestiti obbligazionari e paradisi fiscali, futures e stock options, diventa un magnate dell’alta finanza, senz’altra giustificazione alle sue compulsive e spericolate speculazioni se non quella che “è così che si fa”. Considerato che il romanzo è stato pubblicato nel 1975, le pagine di Gaddis assumono una valenza quasi profetica, dal momento che l’economia rappresentata in “JR”, il cui scopo non è quello di produrre beni e fare utili con un rapporto equilibrato tra costi e ricavi, bensì di creare una ricchezza illusoria tramite elusioni fiscali, prestiti garantiti da altri prestiti e strumenti derivati, ricorda molto da vicino quella che ha portato al fallimento della Lehman Brothers e alla crisi mondiale del 2008. La genialità di Gaddis consiste nell’aver condensato in poche pagine (si fa per dire, perché il romanzo sfiora le mille pagine) un intero ciclo economico meglio di un trattato di macroeconomia: dallo sviluppo inarrestabile dell’inizio l’impero di JR raggiunge ben presto una dimensione critica, che precede l’implosione e la rovinosa crisi, giacché quanto messo in piedi dal ragazzo si rivela alla fine nient’altro che un miserando castello di carte. Quello di “JR” è un mondo sconsolatamente desolante, dove gli individui sono mossi esclusivamente da motivazioni legate all’interesse e al profitto, dove la religione è assente e l’unico dio è il dollaro, dove la beneficenza si fa solo perché è possibile portarla in deduzione e non pagare così le imposte sul reddito, dove i legami familiari sono inesistenti (non solo il genitori di JR sono assenti, ma anche il padre di Amy, il ricco finanziere Monty Moncrieff, tutto preso dal suo importante lavoro, trascura colpevolmente i figli) e le famiglie si disgregano, dove la scuola è gestita come un’azienda e non si preoccupa di educare, istruire ed elevare spiritualmente i giovani, ma solo di prepararli ad essere dei futuri consumatori, e dove persino l’arte (già messa alla berlina nel precedente romanzo di Gaddis, “Le perizie”) si rivela inutile e impotente, come dimostrano i personaggi degli scrittori Thomas Eigen e Jack Gibbs (forse degli alter ego dello stesso autore), del pittore Schepperman e soprattutto del musicista Edward Bast, perennemente alla prese con opere lasciate incompiute e con problemi finanziari, dimessi e scalcagnati, costretti per poter sopravvivere a svendere il loro talento in occupazioni mediocri e demotivanti, e destinati non a caso a finire quasi tutti nell’orbita di JR, a fargli da segretari e galoppini. La sottomissione dell’arte allo spregiudicato mondo degli affari è il lascito pessimistico di “JR”, e non basta a redimerlo il disperato tentativo di Bast di far ascoltare al piccolo protagonista una cantata di Bach per dimostrargli che esiste qualcos’altro oltre all’angusto e riduttivo mondo della finanza. La felicità non appartiene al mondo di Gaddis, così come, nel nostro mondo odierno, non è contemplata da indicatori come il PIL, il cui aumento ad ogni costo, pur millantato come l’unica garanzia di prosperità e di benessere, trascura elementi fondamentali come la salute dei cittadini, l’istruzione o la ricchezza dei rapporti sociali.
Nonostante questo sottofondo pessimistico, e a tratti tragico (nel libro vi sono addirittura tre suicidi e la morte di un ragazzo drogato in un incidente stradale), il tono del romanzo è apertamente comico, scanzonato e quasi clownesco. “JR” è un hellzapoppin’ costruito sotto il segno dell’iperbole e del grottesco. I personaggi sono costantemente vittime di malintesi, di fraintendimenti e di qui pro quo (Bast ad esempio brucia con l’accendino la mano di Amy credendo che il cracker che la donna sta portando alla bocca sia una sigaretta, mentre Davidoff scambia il signor Duncan, titolare di una piccola ditta di carta da parati, per il proprietario dell’omonima casa editrice), e non è raro che in un dialogo un personaggio parli di una cosa e il suo interlocutore risponda a sproposito di tutt’altro (come quando a Bast, che vuole sapere da Crawley come funzionano le obbligazioni, questi risponde esponendogli il suo progetto di un film sulle zebre), con un effetto irresistibilmente slapstick. L’apice di questa comicità iperbolica si ritrova a mio avviso nelle scene ambientate nell’appartamento sulla 96a Strada, l’incongruo quartier generale della JR Corp., stracolmo di confezioni e scatole di prodotti di ogni genere, che sembrano aver preso possesso di ogni spazio come la vegetazione di una giungla tropicale, i rubinetti rotti che fanno scrosciare ininterrottamente l’acqua, la porta con i cardini rotti, un orologio con le lancette che girano al contrario, una petulante radiolina sepolta sotto gli scatoloni che si accende a intermittenza, il forno e il frigorifero usati come archivi per i documenti e le lettere che vengono recapitati senza sosta, e l’entropia che inghiotte tutto – cose e personaggi – come nello studio del funzionario Sordini ne “Il castello” di Kafka o nella Centrale dell’energia di “Giles, ragazzo-capra” di Barth. Confesso di essermi molto divertito a leggere la clownesca satira di “JR”, anche se sono perfettamente consapevole che il mio incondizionato apprezzamento rischia di apparire quantomeno paradossale di fronte alla fama a dir poco sinistra che il romanzo si è portato dietro nel corso degli anni. In effetti, “JR” è un libro oggettivamente difficile, in quanto composto al 99% (e la stima è probabilmente arrotondata per difetto) di dialoghi, senza alcuna voce narrante a cui appigliarsi: nelle sue pagine prevale la cacofonia, con una continua alternanza, e persino una sovrapposizione, di voci (colloqui simultanei, voci provenienti da apparecchi radiofonici o schermi televisivi, ecc.), con le telefonate che interrompono continuamente le conversazioni e spesso a loro volta vengono disturbate da interferenze, in modo che alla fine tutto si riduce a un vaniloquio che sembra a prima vista non portare da nessuna parte. Inoltre Gaddis, a differenza per esempio di quanto avviene in un testo teatrale, non dice mai esplicitamente chi sta parlando, per cui il lettore è costretto a un notevole sforzo per attribuire un nome a ciascuna voce, compito a volte per nulla agevole se si tiene conto che spesso nella stessa scena sono presenti numerose persone, che i personaggi del romanzo sono svariate decine, e lo stesso protagonista JR, costretto per la sua età a parlare solo per telefono camuffando la propria voce con un fazzoletto appallottolato sul ricevitore, compare in un numero limitatissimo di pagine. Tale sforzo è però ricompensato in misura più che proporzionale all’impegno profuso. E’ un po’ come se Gaddis avesse voluto selezionare il suo parterre di potenziali lettori, disseminando il suo testo di innumerevoli trappole ed ostacoli, al fine di scremarne il numero e farne rimanere, in spregio di ogni opportunistica logica editoriale, solo una piccola, sparuta e selezionatissima quota, in grado di resistere all’impatto delle prime, osticissime, pagine di dialoghi senza interruzioni e senza riferimenti, dove i personaggi, di cui non conosciamo nulla e che sono delle sagome vuote destinate a definirsi solo con lo scorrere della storia, possono essere riconosciuti solo dal loro inconfondibile modo di parlare (come il dialogare franto e spezzettato di Bast, l’eloquio colto e sarcastico di Gibbs o lo slang sboccato di Rhoda). Ma poi, superata questa sorta di esame di ammissione, Gaddis sa ripagare i fedeli sopravvissuti donando loro quel piacere che solo la grande letteratura è capace di offrire, ossia un sofisticatissimo umorismo, uno stile ineguagliabile e una mole impressionante di citazioni (dallo Shakespeare de “Il mercante di Venezia” all’Elliot de “La terra desolata”, dal Tolstoj di “Redenzione” al Conrad di “Cuore di tenebra”, da John Keats a William Butler Yeats, ecc.). Insomma, “JR” è un’opera nata sotto il segno dell’ossimoro: è cinica e pessimistica ma sa profondere divertimento a piene mani, è tremendamente seria ma anche farsesca e giullaresca, è ostica e difficile ma non si avverte mai il peso delle sue pagine, al punto che la sua fine arriva quasi a sorpresa. Ossimoricamente voglio concludere anche questa recensione, ribadendo che “JR” è uno dei più bei romanzi del ‘900, semanticamente ricco, teoricamente profondo, culturalmente stratificato e genialmente eclettico, ma al contempo mettendo chiunque in guardia dall’affrontarlo a cuor leggero, senza una autentica predisposizione psicologica e intellettuale: lettore avvisato…

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"Le perizie" di William Gaddis
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