L'idiota
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Recensione della Redazione QLibri
Parole e vita
Finalista al premio Pulitzer 2018, l’originale romanzo di formazione scritto dalla nota giornalista del New Yorker Elif Batuman sfugge a qualsiasi convenzione letteraria. Nasce come un lavoro dal marcato accento autobiografico, che riprende un manoscritto giovanile lasciato in sospeso quasi vent’anni fa, con l’obiettivo di dare a quei frammenti di memoria un carattere più generale, un’intelligente e giocosa riflessione sulle potenzialità della scrittura e sulla distanza tra linguaggio e realtà.
La trama de “L’idiota” si compone caoticamente degli episodi della vita di Selin, studentessa diciottenne di origini turche appena arrivata ad Harvard nel 1995. Il mondo universitario le si rivela pieno di codici e sfumature linguistiche nuove, e non è un caso se la giovane protagonista, che sogna di diventare scrittrice e guarda alla vita attraverso una lente narrativa, si affida ai corsi di letteratura, linguistica e filosofia del linguaggio, sperando di trovarvi le coordinate per leggere questa nuova realtà.
Elif Batuman osserva con sguardo acuto, schietto e umoristico l’umana lotta per comunicare e si diverte a creare giochi linguistici, conversazioni che rasentano a tratti l’assurdo, parallelismi tra realtà e finzione. Mentre impara il russo su un libro per principianti che racconta la storia - senza congiuntivi - di Nina, in partenza per la Siberia alla ricerca di Ivan, Selin incontrerà un altro Ivan, studente ungherese di matematica. E mentre partecipa all’improbabile corso di “mondi costruiti”, costruisce con lui un mondo di linguaggio, fatto di e-mail, per partire infine alla volta dell’Ungheria, durante l’estate, a insegnare l’inglese e inseguire un’idea d’amore fatta di inganni verbali.
“Cominciai a pensare che stavo vivendo due vite: una fatta degli scambi di e-mail con Ivan, l'altra fatta di università. Una volta, qualche ora dopo aver ricevuto un suo messaggio, lo incontrai per strada. Sapevo che mi aveva vista, ma fece finta di niente. Continuò a camminare e non aprì bocca”.
La linfa vitale del romanzo è la ricerca di una propria strada nel mondo attraverso le parole. Ma cosa imparerà questa ragazza innamorata della scrittura nel suo primo anno accademico, attraverso il russo e l’ungherese, i segni astratti della matematica e l’html? Che a volte le parole falliscono.
La voce che ci accompagna in questo viaggio è accattivante, elegante e vivace, ma tiene sempre il lettore a una certa distanza. Ad una valutazione complessiva, il romanzo risulta freddo e poco coinvolgente. L’autrice presta più attenzione alle parole che non alle emozioni che stanno descrivendo e la sensazione è che la storia, le tenere e divertenti esperienze della giovane protagonista, così come i curiosi personaggi che la accompagnano, siano sempre fuori fuoco, in secondo piano rispetto alle sottili intuizioni e al gioco comunicativo. Pur avendo apprezzato l’originalità e l’intelligenza di questo progetto letterario, confesso di avere faticato, e non poco, nell’ultimare la lettura di questa storia-non-storia a cui manca, di fatto, tensione narrativa ed emotiva.
Difficile darne una valutazione, il libro è sicuramente ben scritto e non banale, ma se romanzo è, allora non posso non constatare la mancanza di quella componente umana che dovrebbe invece costituirne il fulcro.
“Quando le leggevamo da bambini, quelle filastrocche sembravano così astratte, e poi da grandi ce le ritrovavamo davanti, il prosciutto e le uova verdi, le caprette e le barchette, il caffè e la cioccolata e i poveretti della città. Ma le civette che facevano l'amore? E il bacio a chi vuoi tu? Certa roba evidentemente non faceva per noi. Cascasse il mondo, cascasse la terra”.
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Opinioni inserite: 3
Fragilità estrema
L’ idiota è un romanzo di matrice autobiografica che prevede due parti, diverse e non proprio complementari, un viaggio educativo-sentimentale nel fluire di una giovinezza che possiede i tratti della protagonista e le aspirazioni di un periodo della vita ancora immaturo, assoluto, turbolento, fallimentare, da forgiare.
C’è un prima inserito in un contesto accademico-letterario che attrae uno spirito assetato di conoscenza e un dopo aperto a un viaggio alla ricerca di se’ e dell’ altro.
Una trama interessante all’ interno di una prosa scorrevole, alcune riflessioni argute, dialoghi sferzanti, la profondità di alcuni personaggi, la superficiale assenza di altri. Quello che manca, e non è poco, è la fusione tra l’ approccio teorico, che abbonda nelle parole ricercate e nei monologhi cervellotici della protagonista, e il fluire della trama, fragile, frammentato, inafferrabile, lontano.
Selin, diciotto anni e uno stato di unicità, d’ altronde non tutti possono vantare un’ iscrizione a Harvard, centinaia di libri letti, il desiderio di diventare una scrittrice senza avere ancora scritto qualcosa di significativo.
Da sempre una vita molto teorica e poco pratica, la frequentazione di spiriti affini nella propria. ristretta cerchia di appartenenza, in lei una lacerazione evidente, il complicato rapporto tra linguaggio e mondo, qualcosa da definire all’ interno di frasi e parole acquisite e certe.
Un’ età dentro la personale visione delle cose, l’ incontro con Ivan, studente ungherese di matematica, un rapporto altrettanto difficile, iniziato e proseguito grazie a uno scambio di e-mail su temi generali, l’ incertezza di una transizione evidente, il dibattito su linguaggio e realtà, aspirazione e sentimento, una malcelata sofferenza vissuta dentro, come mostrarsi anticonvenzionale dicendo qualcosa di significativo?
Per Selin la scrittura è un’aspirazione teorica, sin dalle superiori vissuta dentro un mondo di idee e di grandi pensatori, un distillato di opinioni, oggi si divide tra un corso e l’ altro, affamata di conoscenza, nella quotidianità poca concretezza, il complesso rapporto con gli altri, una visione del mondo limitata alla propria unicità e a un certo grado di egoismo.
Vive un tormento prolungato, un’ emozione che si fa sentimento, un desiderio da cui è difficile sottrarsi, che ricerca l’ indecifrabile, se stessa, un completamento, mille domande e nessuna risposta, che vede nell’ altro qualcuno da rincorrere, imitare, studiare, con il quale intrattenere una relazione che possa annullare la lontananza, chiarire un legame enigmatico, allargare i propri orizzonti.
C’è una teoria che si sottrarre a definizione certa, che cede a un quotidiano fatto di privilegi di classe e alla praticità di una relazione con il mondo che aspira a leggersi dentro e a comprendere chi ci sta accanto.
L’ ansia di Selin origina dal proprio senso insensato, convinta di non avere niente da insegnare, di essere estranea al mondo, rinchiusa in un personale microcosmo di inconcludenza, senza essere mai andata da nessuna parte, ubbidiente a una madre che le dice cosa fare, una indigente nel grande mercato delle idee.
In questo stato di immobilità, impossibilitata a parlare di se’ in un’ intimità che ne metta a nudo i sentimenti, percorsa da uno sterile rimuginio intellettivo, si interroga su vita e destino, se per destino si considerano persone che gravitano in situazioni diverse.
Nel suo rapporto con Ivan mancano le coordinate di un sentimento condiviso, che fatica ad esprimersi, che fa soffrire l’ altro, sfuggendo a una vera conversazione.
E allora che cosa si intende per amore se non un oscuro e imperscrutabile legame fra due individui e non una competizione di tipo economico in cui tutti vengono accoppiati in base al proprio valore stimato?
Per la prima volta Selin ignorerà che cosa voglia effettivamente studiare e fare, in lei ancora la vecchia idea di essere una scrittrice, ma, dopo un periodo di apprendistato e di insegnamento in Europa a stretto contatto con il reale, scoprirà che la propria idea di amore era un inganno e di potere vivere, di dovere vivere, di vivere…
…quando in autunno tornai all’università cambiai piano di studi lasciando linguistica, e non seguì più corsi di filosofia o psicologia del linguaggio. Mi avevano deluso. Non avevo imparato quello che volevo sapere sul funzionamento del linguaggio. Non avevo imparato proprio niente…
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- sì
- no
Buoni gli intenti, opinabili i risultati.
Selin è una studentessa diciottenne di origini turche. È il 1995, è appena arrivata ad Harvard e per lei, come per tutti i suoi colleghi di studio, il mondo digitale è un qualcosa di sconosciuto. Le mail, anzi le e-mail con la e marcata, sono un qualcosa di completamente nuovo tanto che riceverne una preimpostata al suo arrivo in facoltà la destabilizza. Una prima novità, questa, a cui si sommano codici e rigidi schemi universitari a cui è chiamata a conformarsi. Il suo modo di approntarsi alla vita che le scorre accanto è quello dettato dall’osservazione mediante una lente di ingrandimento, una lente di ingrandimento totalmente improntata su quella che è la letteratura tanto che per cercare di tradurre tutti questi nuovi elementi che riscontra, si iscrive a cinque corsi tra loro diversi tra cui linguistica, filosofia del linguaggio, russo, “mondi costruiti” (dove le mail, anzi e-mail, verranno per utilizzate nel concreto). Viene però esclusa dalla possibilità di suonare il suo violino nell’orchestra del college, circostanza, questa, che la demoralizza, la disincanta. Il suo sogno, ancora, è scrivere e diventare una scrittrice.
Essendo una principiante con la lingua russa le viene consigliato di leggere un libro al presente e senza particolari coniugazioni verbali (in particolare il congiuntivo viene evitato come la peste) che narra di una donna chiamata Nina che parte per la Siberia alla ricerca di Ivan. I giorni scorrono e le coincidenze fanno sì che la stessa incontri il suo, di Ivan, il quale è uno studente ungherese di matematica con cui la diciottenne costruisce il suo mondo di missive elettroniche e di inganni che la porteranno, infine, a partire per l’Ungheria ad insegnare inglese e ad illudersi di un amore falsamente dipinto.
Lo scritto ruota interamente attorno a quel tarlo dell’individuare la propria strada nella vita che attanaglia un po’ tutti nel percorso di crescita. A questo si sommano speranze, illusioni e una forza delle parole che non riesce nei suoi intenti fallendo inevitabilmente. Eppure, nonostante questo personaggio ben costruito e interessante, nonostante questa morale forte e solida e a questo linguaggio preciso, meticoloso, erudito, dettagliato, l’elaborato risulta privo di qualcosa, e quel qualcosa, è l’empatia. Pagina dopo pagina il conoscitore quasi si sforza di andare avanti, è sempre tenuto a distanza e mai è coinvolto emotivamente dalle vicende. Forse per rendere più concreta la dimensione di Selin e della sua ricerca di parole, l’autrice, si concentra talmente tanto su queste e sulla loro ricercatezza perfetta, da tralasciare tutto il resto. Ed è un peccato perché il libro nella sua essenza non è affatto scontato o banale, anzi, è intelligente e arguto. Purtroppo però si fatica non poco ad ultimarne le vicissitudini.
Fortemente autobiografico e tratto da un manoscritto giovanile che viene ripreso dopo due decenni di sospensione, “L’idiota” fatica a convincere risultando farraginoso, incompleto, freddo.
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un grande ma
Un libro con due registri stilistici troppo nettamente contrapposti per risultare gradevole, Selin che pensa è brillante e poetico, la vita e i comportamenti di Selin raccontati in maniera piatta e formale, una diciottenne più apatica e immobilizzata di una anziana stanca e spossata dai giorni di vita trascorsi, è difficile consigliare per me un libro simile, come sconsigliarlo. perché dietro si sente che c'è del talento ma davvero non esposto bene.

Opinione inserita da Raspanti 24 Settembre, 2018



























