Narrativa straniera Romanzi La nostra gang
 

La nostra gang La nostra gang

La nostra gang

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Sul palcoscenico internazionale Trick E. Dixon e il suo gabinetto furoreggiano a suon di malefatte: in una crescente esasperazione grottesca della politica nixoniana, assistiamo all'invasione della Danimarca, al lancio dell'atomica su Copenhagen, a una rivolta di boy scout soffocata nel sangue. Scritto di getto nella primavera del 1971, più di un anno prima dell'effrazione nella sede dei democratici al Watergate e ben tre anni prima delle dimissioni di Nixon, "La nostra gang" procurò a Roth l'appellativo di profeta.



Recensione della Redazione QLibri

 
La nostra gang 2014-04-19 15:52:27 SuperBob
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SuperBob Opinione inserita da SuperBob    19 Aprile, 2014
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“Quei ragazzi terribili”

“E consentitemi di chiarire bene anche un’altra cosa: non sto parlando solo dei diritti dei feti. Sto parlando anche dei microscopici embrioni. Se in questo paese c’è un gruppo davvero ‘svantaggiato’, nel senso che è assolutamente privo di voce e rappresentanza nel nostro governo nazionale, non si tratta dei neri o dei portoricani o degli hippy o di chicchessia, tutta gente che ha i propri portavoce, ma di quelle creature infinitesimali laggiù nella placenta”.

Cinico, irriverente, sardonico, se non addirittura istrionico, ma allo stesso tempo duro e spietato nei confronti dell’entourage politico e dei mass media. Ecco come appare il romanzo-pamphlet di Philip Roth dall’irriguardoso titolo “La nostra gang”. Un titolo volutamente offensivo, quello creato dal celebre autore statunitense, che ben sintetizza la trama del suo racconto, liberamente ispirato alla figura del presidente Richard Nixon e a quella dei suoi principali collaboratori.
Uno scritto suggerito a Roth dal discorso tenuto da Nixon a San Clemente - che nel romanzo diventa San Dementia - nell’aprile del 1971, in cui si parla di aborto. Roth ne cita all’inizio un “inciso”: “L'aborto è una forma inaccettabile di controllo della popolazione.” Nixon mette poi in evidenza la santità della vita umana, il che implica la vita dei “non nati” e i loro diritti. Da questi concetti il romanziere trae l’occasione per creare una fotografia satirica, a tratti surreale, dell’allora agone politico. E sarà lo stesso Richard Nixon, sotto le spoglie di Tricky Dixon - Tricky è stato in effetti un appellativo affibbiato al Presidente americano -, il protagonista indiscusso di una manciata di capitoli, concepiti perlopiù sotto forma di dialoghi e monologhi. Capitoli che anticipano profeticamente - in particolar modo quello dedicato ad una sorta di “riunione di consiglio” tra gli intimi del Presidente - le intercettazioni rese note pochi anni dopo.
Roth parte quindi dai diritti dei “non nati” per far sviluppare a Dixon un discorso che lo porterà a concludere che anche i “non nati” hanno il diritto al voto in un’America davvero democratica - un voto che non dispiace affatto al protagonista del romanzo, visto che è a metà del suo primo mandato. Un comizio nel quale lo scrittore mette in mostra tutta la retorica di Dixon, la sua doppiezza, ma soprattutto la sua indiscussa capacità di dire tutto e il contrario di tutto, pur di trarne un profitto personale. Questa retorica fa da filo conduttore a tutto il libro, amplificandone il significato a livelli davvero parossistici, quando applicati a fini “criminali” dall’entourage presidenziale. Si assiste così ad un consiglio di Stato segreto, dagli aspetti davvero esilaranti e surreali - tenuto da Dixon in uno spogliatoio all’interno della Casa Bianca - in cui sia il Presidente che i suoi collaboratori indossano la divisa di una formazione di football americano per predisporre un piano contro i Boy Scout, rei di avere “diffamato” il Presidente, e finalizzato a creare un falso complotto contro di lui. Si assisterà poi alla preparazione e alla realizzazione, sempre da parte di Dixon e dei suoi accoliti, di un conflitto atomico contro la Danimarca, accusata di essere uno stato “pornografico”. Fino a giungere all’evento clou del romanzo: lo scombiccherato assassinio del Presidente e i “salti mortali” sostenuti dagli addetti della Casa Bianca per negarne la morte prima e per sostenerne in seguito il decesso per mano di un misterioso omicida, facendo di Dixon un eroe e un martire. Un eroe che, una volta giunto negli inferi, avrà ancora da ridire contro lo stesso Satana in un monologo che è la “summa” di tutta la retorica nixoniana. Non per niente Roth redige quest’ultimo lungo discorso “infernale” facendo buon uso di quello tenuto da Nixon nel famoso dibattito televisivo del 1960, che lo vedeva confrontarsi in diretta con John F. Kennedy.
Un libro degno di essere posto all’interno del filone satirico che comprende illustri precursori, quali Swift e Orwell. Uno scritto da leggere e rileggere più volte, tante sono le considerazioni che se ne possono trarre. Ad iniziare dall’ampollosità dei politici di ieri come di oggi e dalla loro capacità di ribaltare qualsiasi discorso e/o situazione a loro favore, facendo comunque credere alle masse di sacrificarsi sempre ed esclusivamente per loro.

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