Narrativa straniera Romanzi Niente si oppone alla notte
 

Niente si oppone alla notte Niente si oppone alla notte

Niente si oppone alla notte

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Nel 2008, a sessantun anni, Lucile si toglie la vita. A scoprirla è sua figlia Delphine, l'autrice di questo libro. Un mattino di gennaio è entrata nel suo appartamento e l'ha trovata così, distesa sul letto, senza vita. Perché? Non è una domanda a cui si possa dare risposta, e Delphine de Vigan, già affermata scrittrice, per molto tempo resiste all'idea di dedicarle un libro. Ma c'è una "luce segreta venuta dal nero" a sedurla e a farle riprendere la penna in mano. Con la certezza che "la scrittura non può nulla. Tutt'al più permette di porre le domande e interrogare la memoria". Lucile era una donna bellissima, ammirata e desiderata, che portava in sé da sempre una ferita profonda. "Il suo dolore ha fatto parte della nostra infanzia e, più tardi, della nostra vita adulta, il dolore di Lucile fa indubbiamente parte del nostro essere, mio e di mia sorella. Eppure, ogni tentativo di spiegazione è votato alla sconfitta." Ma questa morte esige almeno di avvicinarlo, quel dolore, di esplorarne i contorni, i recessi segreti, l'ombra che proietta. È dunque per combattere il potere distruttivo del silenzio che Delphine inizia a scavare nella memoria familiare, a partire dai nonni un po' bohème e anticonformisti e dai loro nove figli, per ricomporre il quadro di una "famiglia che ha suscitato lungo tutta la sua storia numerosi commenti" e ha proiettato intorno a sé un'inconsueta fascinazione. Una famiglia "allegra e devastata" in cui la tragedia si è insinuata presto e si è riprodotta con inusitata acrimonia, alternandosi a momenti di sublime felicità. Una famiglia in cui ci si è amati, ci si è detestati, ci si è ritrovati, un nucleo anche un po' bislacco che Delphine interroga, inquieta e appassionata, per arrivare a scoprire il coraggio e l'amore che stavano dietro il sorriso d'oscura dolcezza di sua madre. E renderle così l'omaggio più bello: un ricordo di carta e un destino di personaggio.



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Niente si oppone alla notte 2013-06-02 22:19:30 petra
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petra Opinione inserita da petra    03 Giugno, 2013
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Nulla si oppone alla notte

Si rimane incollati alle pagine, con il fiato sospeso, nel leggere questo romanzo, potente, intimo, struggente e liberatorio della De Vigane.
Il libro comìncia, senza tanti fronzoli, con il suicidio della madre dell’autrice. Lucile Poirier, sessantun anni, muore dissanguata una mattina d’inverno, a Parigi, dopo una vita segnata dalla malattia psichica e dalla sofferenza dell'animo, fatta di deliri devastanti, brevi istanti di pace e fragili equilibri, segnata da un segreto terribile e da un disturbo psichico invalidante; più volte Lucile era stata sull’orlo del baratro, aveva accarezzato l'abisso col pensiero senza esserne però risucchiata. Il disturbo bipolare di cui era vittima, tardivamente riconosciuto, ha segnato per sempre la sua esistenza e così quella delle due figlie, appena bambine e inermi al manifestarsi del primo episodio di delirio.

Il suicidio appare così il capolinea di una lunga serie di tragedie personali e familiari, costellate da momenti di apparente serenità, in una vita dove la labilità delle certezze fa da padrona sin dall'infanzia.

Delphine, la figlia maggiore di Lucile, scrittrice affermata, per alcuni anni dopo il suicidio cerca invano di sottrarsi al " richiamo della scrittura" come mezzo per avvicinarsi alla faticosa, oserei dire tragica esistenza della madre, la cui malattia, il cui dolore immenso non hanno potuto che riverberarsi con violenza su di lei e sulla sorella. Ma un giorno sente, intuisce con forza che provare ad avvicinarsi, provare a ricostruire la drammatica storia della madre è non solo doveroso, ma necessario e terapeutico insieme: forse tentare di capire può costituire una sorta di dolente, tardivo ma sincero omaggio a sua madre , alla sua persona e alla sua memoria. Mi preme sottolineare come, in epoca di sensazionalismo a buon mercato, quello narrato in queste pagine sia un dolore sincero, pudico, pacato; non vi è nessun autocompiacimento morboso, come tanto va di moda nell’affrontare spesso questi temi, così come nessun fronzolo né alcuna ellissi addolciscono sessant’anni di una vita fragilissima; niente abbellisce il lento estraniarsi di Lucile dalla realtà in un mondo parallelo, unico pseudorifugio rimasto a un animo troppo sensibile di fronte alla spietatezza del mondo .

Nel libro, con l’inevitabile filtro affettivo e le mancanze, le lacune e le distorsioni dovute alle diverse interpretazioni della stessa realtà da parte dei parenti , sono ricostruiti dall’autrice sessant’anni di vita familiare, riportati da parenti, zii e cugini , tutti affettuosi e vicini a Lucile, i quali però ammutoliscono al solo accennare di Delphine alla probabile causa scatenante del suo mal di vivere, il morboso rapporto con il padre . L’autrice cerca di mettere insieme frammenti, ricordi, diari, fotografie, nel tentativo diricostruire il dramma di Lucille, di accarezzare più da vicino che in vita il dolore della madre. Ci sono però segreti su cui non riesce a indagare, fatti che è meglio seppellire nelle sabbie del tempo, che potrebbero inquinare il buon nome di una famiglia, gettare scompiglio. Segreti così terribili e devastanti che si preferisce tacerli; ma chi subisce il peso del loro contenuto può rimanerne marchiato a vita.

Mi è costato tanto leggere queste pagine, non lo nego, ma sono andata avanti perché, oltre al valore catartico, purificatore della vicenda ho veramente imparato tanto: per certi versi era come se la vicenda di Lucile mi parlasse , aveva una valenza quasi terapeutica e indubbiamente mi ha insegnato tantissimo sul disagio psichico, più certo di un trattato sul tema. Mi sono chiesta cosa posso fare in prima persona , come donna, amica , conoscente, medico, passante, quando vedo qualcuno soffrire in questo modo, quando lo vedo vittima di un delirio: per me la sofferenza psichica è infinitamente meno gestibile di quella fisica, mi cattura, mi coinvolge e mi paralizza. Da queste pagine ho potuto imparare come sia fondamentale ascoltare, non condannare mai, cercare sempre di capire, di accogliere il dolore dell’altro; premesso che i farmaci in tante situazioni sono necessari niente può sostituire un abbraccio, una carezza, è banale ma niente può sostituire il calore umano. Sono convinta che come per le ferite fisiche, così quelle dell’animo debbano essere spurgate, liberate all’esterno della loro tossicità, per potersi rimarginare. Se questo non accade, se l’omertà prevale, le conseguenze sono sempre tragiche. Questo è l’insegnamento più grande che credo di aver tratto da questo libro.

Sono convinta che questo romanzo abbia un grande valore, etico e umano oltre che letterario, ma ne consiglio la lettura solo a chi si senta forte abbastanza, capace a sufficienza di immergersi a lungo in un dolore così viscerale, primordiale, acuto, seppure catartico.

Chiedo scusa per il lungo commento, ma sentivo doveroso riportare, come posso, tutta la profondità e il valore di quest'opera.

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Consigliato a chi ha letto...
Consiglio il libro , con le riserve di cui accenno sopra, dovute alla forte drammaticità dell'argomento.
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