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Lito ha appena compiuto dieci anni e sogna di fare il camionista. Suo padre Mario è ammalato, e oltre al suo corpo soffre anche la sua memoria. Prima che sia troppo tardi, si mettono in viaggio, un viaggio decisivo, in cui condivideranno molto più che tempo e spazio. Nel frattempo, tormentata dalla perdita imminente, Elena, moglie di Mario, si immerge in un’avventura catartica, che prende spunto dalla sua enorme passione letteraria e sfida i suoi limiti morali. A capitoli alterni, per raccontare di sé e dell’amore per gli altri, ciascuno dei tre protagonisti prende voce e «parla da solo». Lito è un bambino spaesato, che non ha ancora gli strumenti per capire, ma ha la curiosità e l’intelligenza d’intuire i segni profondi di quel che gli accade attorno. La voce di Mario è dolorosa e straniante: sta perdendo la vita e non ha scelta, non ha futuro: vuole lasciare a chi lo ama il meglio di sé, cerca di immaginare la vita di Lito senza di lui. Elena deve affrontare il terribile dolore della perdita ma riesce ancora ad amare, prova nuovi piaceri proibiti, trova nei suoi amatissimi libri il male d’esistere ma anche un barlume di speranza.



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Parlare da soli 2016-12-02 22:33:35 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    03 Dicembre, 2016
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La morte...accanto.



Un libro insolito, sulla malattia, che vede coinvolte tre persone: Mario (il malato terminale), Elena (sua moglie) e Lito (il loro bambino di 10 anni).
La parola viene data alternativamente a tutti e tre, e ognuno di loro ci darà la sua visione di quello che sta accadendo.
Tre voci molto diverse fra loro: una amorevole verso un figlio a cui vuole lasciare un ricordo indelebile, una innocente e ignara di tutto quello che di lì a poco lo travolgerà, ed una che cerca disperatamente di rimanere a galla, anche a costo di risultare oscena.
Sebbene il malato sia Mario, io credo che tutto il romanzo ruoti intorno ad Elena ed al suo modo di vivere la malattia del marito, di gestire l'imminente perdita, di incanalare il dolore con pensieri che non vuole pensare e facendo cose che non dovrebbe fare.
Io mi sono sentita letteralmente sommersa dalle sue parole, stranita dal suo comportamento, ma assolutamente incapace di giudicarla, di condannare la sua inadeguatezza.
Quella di Elena è una voce potente, vera, che non ha paura di sentirsi sporca, di vergognarsi, di gridare la sua miseria e il disprezzo per se stessa.
Mi sono sentita quasi obbligata ad aiutarla a sostenere il peso dei suoi sensi di colpa.
In colpa per la sua impotenza di fronte alla morte, per un sentimento che pian piano si fa più vicino all'assistenza che all'amore, per non riuscire più a provare passione e desiderio per un corpo consumato dalla malattia, per il suo provare ancora passione e desiderio per un altro corpo...sano.
Colpa per non riconoscere più in lui l'uomo che era, ma anche per non riconoscere più la donna che era lei.
E quindi, smarrita, si cerca nei libri.
Elena legge, legge tanto...e sottolinea.
Nei libri cerca rifugio, consolazione, non evasione...tra quelle parole lei cerca lui, cerca se stessa. Cerca la vita.

"Poi passerò la serata leggendo. I miei nervi si calmano con i libri. Falso. Non si calmano: cambiano direzione."

Mario, benché "incattivito" dalla sofferenza e dalla consapevolezza della vita che gli sfugge via...non può fare a meno di sorridere a suo figlio, negandogli la verità, ed anche quando non avrà più le energie per stare in piedi, per mangiare, per dormire, avrà sempre un sorriso e una bugia per lui, perché finché riuscirà a mentire a Lito...vorrà dire che non è ancora morto.

"Come stai amore?" l'ho salutato stamattina.
"Qui a morire, e tu?" ha borbottato.
E ieri mi aveva risposto:
"A mangiar merda, grazie".

Una lettura che "fa male" senza straziare, un racconto lucido che ti trascina nella stanza del dolore, ma senza pietismo, a volte quasi con durezza, carnalità e sfacciataggine.
Così come sfacciata è la sofferenza.

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