Narrativa straniera Romanzi Rossi fiori del Tibet
 

Rossi fiori del Tibet Rossi fiori del Tibet

Rossi fiori del Tibet

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La presentazione e le recensioni Rossi fiori del Tibet, romanzo di Alai edito da Rizzoli. Nel Tibet dei primi decenni del Novecento, un luogo insieme fiabesco e lontano da ogni stereotipo, dove bellezza e violenza sono inseparabili e le accecanti distese rosso fuoco dei campi di papaveri rimandano alla tragica diffusione dell’oppio, si snoda la saga della dinastia Maichi. Potenti signori feudali dal potere illimitato, i membri del clan si muovono tra rivalità familiari e lotte di potere, amori e sconfitte, in un intrecciarsi di eventi dove le personalità dei molti protagonisti, primitive e ricche di fascino, emergono con grande evidenza narrativa. A raccontare è la voce di un membro dell’ultima generazione, un giovane idiota che vive la propria limitatezza come occasione di libertà, e sa osservare cose e persone con uno sguardo che, da ingenuo, si rivela straordinariamente acuto. Attraverso gli occhi di questo idiota sapiente catastrofi naturali e vicissitudini politiche, tradizioni e superstizioni, crudeltà e follie raggiungono una risonanza simbolica, e la struttura del romanzo di formazione acquista nuova profondità nel dipingere non solo la storia di un uomo e di una famiglia, ma quella di un paese, e di un universo culturale.

Alai è di origini tibetane, ma ora vive in Cina e scrive in cinese. È autore di numerose raccolte di racconti e di questo romanzo, che è stato pubblicato presso una delle più note case editrici cinesi nel 1998. Nel 2000 Rossi fiori del Tibet ha vinto il prestigioso premio Mao Dun, il principale riconoscimento letterario della Cina popolare. Nelle intenzioni dell’autore questo romanzo dovrebbe essere la prima parte di una trilogia.



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Rossi fiori del Tibet 2013-10-25 09:24:31 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    25 Ottobre, 2013
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Sognando il Tibet

I rossi fiori del Tibet portati in dote dalla Cina ricoprono infinite distese agrarie di papaveri, papaveri da oppio.
Il colore intenso imporpora gli occhi ed il lattice narcotizzante che  sgorga dal frutto intride l'aria e avvolge  nobili e schiavi, come pure l'odore di guerra sembra non voler dare pace ai cieli asiatici. 
Eppure il Tibet di inizio Novecento incarna un mondo esclusivo, a se stante, regolato da leggi tribali arcaiche. Terra di latifondi di pochi grandi capi, il romanzo fotografa e racconta di una terra speciale , isolata allora come oggi e molto legata a riti, magia e violenza. Pace e guerra. 
Tra magnifiche montagne e terreni agricoli, sorgenti di acqua calda e laghi illuminati da stelle lucenti, tordi canterini e passeri di montagna dal becco verde, inverni rigidi di neve e ghiaccio e primavere profumate del manto di erba nuova, addentrarsi nella storia della dinastia Maichi per scoprire la sorte di un grande uomo, di un grande capo, di un intero Paese.

L'io narrante spetta al figlio minore del capo Maichi,  concepito da padre ubriaco egli cresce nell'utero della madre portando con sè il seme dell'idiozia. Eppur chi si crede intelligente si guardi alle spalle, sia mai che stoltezza non sia ombra sua, invece di quella di colui che egli deride.

Moderatamente lungo il libro, lo stile di scrittura non e' brillante eppure ha il pregio di intrigare, di non annoiare e di riuscire a calare intensamente il lettore nella mente di un uomo che idiota o non idiota sicuramente si distingue dagli altri nella lentezza dei suoi ragionamenti talvolta, nelle apparentemente sciocche elucubrazioni talaltra, nella capacita' innata di precorrere i tempi in un tripudio di lungimiranza.
Una lettura molto interessante ed evocativa tra mito , leggenda, profezia e storia vera.

Poi sul tetto del Tibet, come ovunque nel mondo, arriva la morte.
Ma la morte tibetana riguarda la carne, l'anima invece sale al cielo per tornare poi sulla terra in un altro corpo. 
Camminando su sentieri alle pendici di picchi innevati , sotto cieli tersi e  turchesi incorro in mulinelli d'aria che alzano al cielo polvere e foglie d'autunno. Non serve ripararsi gli occhi, non e' vento, non puo' far male. E' il moto dell'anima di un congiunto che sale in paradiso, e la polvere e le foglie si riposeranno a terra dopo l'ultimo saluto.

Buona lettura.

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Rossi fiori del Tibet 2013-05-30 12:24:31 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    30 Mag, 2013
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Papaveri rossi

Lo scrittore tibetano Alai, assai poco conosciuto nel nostro paese, nel 1998 decise di immortalare un pezzo di storia della sua terra nelle pagine del romanzo “La polvere si è posata” tradotto in inglese col titolo più appetibile di “Red poppies”.
Quello narrato dallo scrittore è il Tibet di inizio novecento, dominato da un regime di stampo feudale, martoriato da feroci scontri per la conquista di territori e di egemonie.
Un paese diviso tra retaggi arcaici che lo legano ancora alle tradizioni culturali e sociali di una terra lontana dalla civiltà occidentale ed influssi esterni che poco alla volta cercano di insinuarsi e mettere radici nel tessuto socio-politico e commerciale.

Con il racconto di Alai attraversiamo il Tibet agreste coltivato ad orzo e granturco, segnato da gelidi inverni, accarezzato dalle nevi candide e da lunghe primavere fino a giungere alla diffusione della semina del papavero rosso dell'oppio; una scelta economica foriera di ricchezza seppur al caro prezzo di sangue, scontri e morte.

La lettura delle pagine di Alai ha sapore d'oriente, ha il pregio di condurci in una terra avvolta da magia, dove famiglie ricche e potenti vivono nell'agio, osservando usi e costumi tramandati da millenni ed il resto della popolazione si piega ad una vita di fatica e sottomissione.
Seguendo la storia della dinastia Maichi, l'autore propone al pubblico uno spaccato sociale interessante, animato da personaggi splendidi, perfettamente delineati nei loro ruoli, padroni e servi, uomini e donne, figli e padri, vittime e boia.
La tenerezza e la fragilità umana si scontrano con la crudeltà e la violenza, le regole del codice amoroso si scontrano con l'intransigenza delle leggi sociali e di casta.
Quello rappresentato da Alai è un mondo antico, rigido e congelato, tuttavia mostra in nuce i primi segni di disgelo, grazie al calore dello spirito di cambiamento e di evoluzione di qualche mente giovane e aperta.

Un'opera apprezzabile per il suo contenuto, che sa cogliere gli aspetti salienti di una cultura antica e lontana dalla modernità, dando risalto ad uno stile di vita a cavallo tra la fiaba e la dura realtà.
Un lavoro che pur non avendo la presunzione di ripercorrere interamente e in maniera dettagliata la storia etnica e politica del Tibet, tuttavia riesce a convogliare tanta attenzione da parte del pubblico.
Difficile esprimere un giudizio sul valore stilistico del romanzo, in quanto la traduzione dal cinese lingua ufficiale di scrittura dell'autore, all'inglese e da questa ultima lingua all'italiano, giocoforza implica un'alterazione della penna originale e , forse, una certa manomissione dei termini e dei modi espressivi.

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