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Una storia d'amore Una storia d'amore

Una storia d'amore

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Come dev'essere una festa? Chi mai potrebbe dirlo. Una festa vera non ha uno spazio, sconfina nella vita della gente. Per un fatto stupefacente, creature inoffensive e vulnerabili erano venute da lontano in quel luogo, neppure una fazenda, tra il Fiume e la Serra dei Gerais. E la festa si disperdeva nell'incalzante meraviglia dei loro racconti. Nell'universo mitico di Guimarães Rosa si delinea un altro suggestivo personaggio, Manuelzone, grande protagonista di "Una storia d'amore", quasi sessant'anni, quasi benestante: è lui che ha organizzato la festa ricca di cose e di persone. Manuelzone sapeva di essere arrivato a poggiare su qualcosa di nuovo, che lo faceva sconfinare in mezzo ai sogni della gente, dentro le sterminate storie del sertao, permettendogli la memoria. E la memoria gli aveva portato la fiducia nel meglio. Ma anche il peso di sospettare che stava invecchiando senza aver avuto un amore. "Una donna bella in un angolo del letto." Sotto questo peso, forse più grande di quello della fatica di una vita, era difficile per lui rimanere nel grande spazio della festa.



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Una storia d'amore 2020-09-24 07:03:15 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    24 Settembre, 2020
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La canzone del sor Camillo

La Samarra, un passo sopra al nulla e qualche gradino sotto a una fazenda, da quattro anni Manuelzone lavora senza tregua.
Rade baracche, pochi abitanti, il ritrovo del bestiame che nemmeno gli appartiene, nondimeno si è fatto un nome quest’uomo dalle grandi mani. Ha eretto pure un tempio nella Samarra, in memoria della madre defunta. Una minuscola cappelletta di fango con una croce sul capo, sull’altarino l’immagine – bruttina – di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso.
Avrebbe organizzato una festa Manuelzone, con bevande e cibo per tutti gli strambi abitanti di quel Sertao dal cielo così azzurro da non essere un cielo qualunque, ma proprio il cielo popolato dagli angeli.
Un brusio continuo di comari e pastori, che si avvicendano portando improbabili doni da offrire alla Madonna. E poi che festa sudamericana sarebbe se la messa non fosse preceduta da una processione al lume di candele di sego, nella buia notte rischiarata dalla luna. Anche i cani si uniscono latrando, gli zebù respirano silenziosi ed il frinire dei grilli che rimbomba suggestioni.

Le feste non sono fatte per finire, ma per essere ricordate.

Breve romanzo di Guimaraes Rosa nel cui Grande Sertao ancora sprofondo felice, la trama è meno elaborata rispetto al suo lavoro più famoso, eppur il racconto sempre così piacevole.
Incantevole la sua tecnica di proporre personaggi che pare nascano dagli abissi delle pagine, senza che il lettore si accorga del loro emergere e rubare la scena. Sono molti i soggetti che si muovono tra le righe, eppure è facile ricordarsi di loro e non restare confusi dal loro avvicendarsi.
Una penna spumeggiante di realismo sudamericano, luoghi e leggende appannaggio non di tutti i lettori forse, ma imperdibili per chi ami i grandi narratori latinoamericani del Novecento.
Anneghiamo, languidi e felici, travolti dall’onda d’ossimoro “di quell’allegria forte, cantando e ballando motivi di tristezza.”

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