Poesia Poesia italiana La Fabbrica Di Batteri
 

La Fabbrica Di Batteri La Fabbrica Di Batteri

La Fabbrica Di Batteri

Letteratura italiana

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Dana Drunk capita in questo mondo il 14 settembre del 1980. Cresce e tutt'ora vive in quel fazzoletto di terra che il buon Lucio Battisti chiamava, non a torto: Brianza velenosa. Sin da piccola si accorge di avere un'anima fin troppo pe(n)sante, cerca così un sistema per alleggerirla. A 13 anni lo trova: inizia a suonare la chitarra e a scrivere canzoni. A 15 anni la prima poesia. Da allora non ha mai smesso. Scrive e compone solo quando si sente ispirata, non ama le forzature. Nel novembre del 2007 pubblica la sua prima raccolta di poesie “Cercando luccicanza”, edita da Akkuaria. Si tratta di poesie scritte tra i suoi 16 e 22 anni. Dal marzo 2008 si esibisce ininterrottamente in reading e performance, spesso accompagnata da musica elettronica suonata dal vivo. Organizza eventi culturali e collabora con diversi artisti mischiando molteplici forme d'arte. Canta e suona nella sua band musicale. E infine lavora, ma se potesse, non lo farebbe.



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La Fabbrica Di Batteri 2011-05-05 08:26:54 Fabio Barcellandi
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Fabio Barcellandi Opinione inserita da Fabio Barcellandi    05 Mag, 2011
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Contagio!

"Quando il potere spinge l'uomo all'arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti.
Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la ricchezza e diversità della sua esistenza.
Quando il potere corrompe, la poesia purifica, poiché l'arte afferma le fondamentali verità umane che devono servire da pietre di paragone del nostro giudizio."
John Fitzgerald Kennedy

La fabbrica di batteri è il poeta.
La fabbrica di batteri è la poesia.
La fabbrica di batteri è [di] Dana Drunk.

Batteri che sono germi, germogli in attesa di poter germinare vita.
Batteri che sono lieviti, fermenti in attesa di poterla diffondere la vita.
Poesia e poeta, dunque, come genesi e veicolo di vita.

E pensare che c'è chi non la considera [la vita?] la poesia, e pensare che c'è chi la trascura [la vita?] la poesia, e pensare che c'è chi non la comprende [la vita?] la poesia, e pensare che c'è chi la ignora [la vita?] la poesia... e pensare che c'è chi non la vive [la vita?] la poesia!
E il pensare che tutto ciò sia dovuto all'errata interpretazione di una figura retorica, all'errata interpretazione della poesia, proprio per avere smesso di considerarla, proprio per averla trascurata, proprio per avere smesso di comprenderla, proprio per avere deciso di ignorarla, proprio per avere smesso di viverne: fa male, ammala.
La figura retorica in questione è la sineddoche, "una figura retorica che consiste nell'uso in senso figurato di una parola al posto di un'altra, mediante l'ampliamento o la restrizione del senso. La sostituzione può riguardare:
? la parte per il tutto (albero al posto di nave)
? il materiale per l'oggetto (ferro al posto di spada)
? il singolare per il plurale e viceversa (l'Italiano - come persona - all'estero per gli Italiani all'estero)
? il genere per la specie e viceversa (il mortale per l'uomo; il felino per il gatto)".

Nello specifico è la restrizione del [buon?] senso, la parte per il tutto, che a un certo punto della storia culturale ha fregato [la vita?] la poesia: la nascita della letteratura di evasione.
Il concetto stesso di letteratura di evasione, inizialmente un genere letterario come tanti possibili altri, ha finito per divenire il genere letterario, la letteratura tutta. E la poesia, che di evasione ha ben poco, in quanto molto più introspettiva e profonda, concreta e materica oltre ogni più facile apparenza, ha finito per venire soppiantata, per essere accantonata, per morire, quasi. Soprattutto quando il potere ha ulteriormente [volutamente?] frainteso evasione con distrazione, arrivando a utilizzare la letteratura e la cultura tutta, come evasione per distrazione delle persone dalla vita! Frattura, quella fra vita e letteratura, fra vita e poesia, che non può che generare mostri.

E se questa è la vita che il potere ci prospetta, una vita che lui stesso ci ha riempito di mostri da cui necessariamente distrarci, poi, ecco che la poesia, solo apparentemente in punto di morte, riprende vigore, si rafforza, tornando a far luce sul buio calatoci sulla ragione, sulle nostre ragioni, a cui la poesia dà voce. Inutile negare, nascondere, ignorare, distrarre, i mostri ci sono e ci annienteranno; prendiamone coscienza, non potrà farci più male, ci permetterà anzi di proteggerci, di difenderci, di sconfiggerli, grazie, per converso, proprio a quei batteri che la fabbrica della poesia, la fabbrica del poeta, la fabbrica di Dana Drunk produrranno su vasta scala, il nostro antidoto.

La poesia di Dana Drunk ricuce la frattura fra vita e letteratura, fra vita e poesia.
La poesia di Dana Drunk è una poesia schietta, sincera, vera, vera poesia.
La poesia di Dana Drunk dice le cose come stanno? Ma nient'affatto non ci si dimentichi che le cose non stanno affatto come dice Dana Drunk: questa la sua metafora, che non è artificiosa, artificiale come tante, troppe altre, altère, ma reale, concreta, sentita, vissuta.
I sentimenti del poeta Dana Drunk sono quelli della donna Dana Drunk sono sentimenti di dolore, di rabbia, di rivolta nei confronti di una vita che non rispecchia più la sua vita, che non la rappresenta, che non le appartiene più, ma che al contempo sono anche sentimenti di speranza, di passione, di amore, per una vita che comunque le scorre dentro, la attraversa, le dà vita.
Il dolore di Dana Drunk è dolore vero, provato, sentito, vissuto sulla propria pelle e attraverso la pelle di chi ama e delle persone a cui vuole bene, di cui è amica.
La rabbia di Dana Drunk è rabbia vera, trasmessale dal morso della vita cagna matrigna.
La rivolta di Dana Drunk è senza speranza? Assolutamente no, perché mai verrà meno, nemmeno nel caso in cui davvero non ci sia nessuno con cui prendersela, il suo canto non smetterà di echeggiare, perché Dana Drunk è la poetessa che canta “Cose Velenose” (il suo gruppo musicale, ndp) anche, e niente è più velenoso della verità, che nessuno vuole più sentire.
Per questo il poeta scrive, un poeta scrive, e la poesia è scritta, perché ciò che muore, come la verità e come la poesia a volte sembrino, non scompaiano, lasciando segni che, codice genetico, possano ricostruire – dopo un crollo quanto mai necessario e auspicato – trasformando i paletti imposti da altri, in pali infitti, invitti, fondamenta di quella/questa fabbrica di batteri che possa contagiare: salvando.
Questo il nuovo DNA, la nuova D[A]NA DRUNK, to be drunk/tutta da bere, metafora del lèggere leggère parole come massi, sassi, materiali da costruzione: germ[ogl]i di quella li-ber-tà, di cui Dana Drunk è inevitabilmente schiava.

Viva quindi la poesia di Dana Drunk, viva quidi il poeta Dana Drunk, viva quindi "La [sua] fabbrica di batteri", la nostra salvezza, la nostra salute: diffondiamola!

Fabio Barcellandi

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