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I diabolici
 
I diabolici 2015-10-23 06:48:24 Natalizia Dagostino
Voto medio 
 
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    23 Ottobre, 2015
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Onnipotenti e spaventati

I gialli, in fondo, richiamano più di altri romanzi le conoscenze e gli studi psicologici. Danno ragione delle ombre di ogni persona e, come attraverso le scienze umane, riemergono gli scarti, le separazioni, le parti di un io infelice e ossessionato che si difende e che sopravvive.

Fernand Ravinel si costruisce deliri giacché la storia vera prevede la sofferenza della responsabilità. E, allora, è meglio raccontarsela, la vita, meglio ideare figure che recitano copioni sicuri e predisposti. Nel romanzo incontro persone e personaggi in una nebbia d’identità che avvolge il quotidiano reale. Ogni persona aiuta il personaggio perché pensa sia possibile avere due vite o costruirsene una apposta, su misura.

Fernand ha paura di affrontare e vive da morto. E’ nato già orfano, gettato nella quotidianità.
I diabolici, dunque, astuti, maligni e perversi, per indagare l’avidità e l’onnipotenza che divengono malattia e disegno di morte. Fernand manifesta la coscienza di essere colpevole prima della colpa che, quando accade, è una liberazione perché dichiara una certezza.

Fernand Ravinel non è più un poveretto, adesso è un assassino che possiede dignità e forza. Ma il delitto non funziona come accensione per il pusillanime. E il destino, senza governo, può compiersi.
Lucienne non è l’amante complice, ma l’ombra di sé che Fernand visualizzata all’esterno, perso in un dialogo interiore, in un immaginario senza uscite, senza opzioni.

Fare la vittima produce numerosi tornaconti che la realtà di chi è vittima davvero non offre.
Anzi, il dolore della sottomissione e del giogo di chi è oppresso, spesso, accompagnano uno scatto di dignità e una autonomia insperata.

Un essere umano impazzisce quando il dolore della realtà è insopportabile e chi uccide o si uccide, è solo per continuare a vivere in modo diverso.
La letteratura psicologica francese dei grandi Boileau-Narcejac va, d’un fiato, come un tuffo nel cuore gelido della vita. Il finale “à suspense” è per me lettrice aprire gli occhi e risentirmi la vita addosso, vera e tragica.

“Il suo delitto è dovuto ad una concatenazione di circostanze insignificanti, di piccole viltà a cui ha ceduto per indolenza. Se un giudice, uno come il padre di Lucienne, lo interrogasse, lui risponderebbe in perfetta buonafede: . E poiché non ha fatto niente, non ha rimorsi. Per avere rimorsi dovrebbe pentirsi. Pentirsi di cosa? A quel punto dovrebbe pentirsi di essere quello che è. E non avrebbe senso.”p.59

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