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In silenzio si uccide
 
In silenzio si uccide 2022-08-18 20:07:08 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    18 Agosto, 2022
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Un giallo sociale

Classe 1961 è Arnaldur Indridason autore islandese che ne “In silenzio si uccide” ci propone una indagine dalle tinte noir che vede quale protagonista, per la seconda volta, l’ispettore Erlendur, nostalgico che non comprende quel desiderio di uniformazione agli standard americani sposato e amato dai suoi connazionali. Perché perdere l’autenticità delle proprie radici radicandosi in quel di una dimensione dove viene prediletto il consumismo, il centro commerciale, il modo di dire della grande massa più che l’autenticità, si chiede.
Torniamo dunque in Islanda. L’indagine vede il ritrovamento del corpo di una ragazza senza vita e senza vestiti sulla tomba del Presidente Jòn Sigurosson, eroe nazionale. Il viso è estremamente truccato e la lettera J è tatuata sulla natica di questa. Da un primo esame le cause della morte sembrano essere riconducibili allo strangolamento. L’autopsia conferma le tesi iniziali degli inquirenti ma evidenzia anche un altro dettaglio: la ragazza non solo era anoressica ma faceva anche uso di droghe. Sul corpo sono molteplici i segni di violenza atti anche a comprovarne il consumo. Erlendur e Sigurrour Oli vengono investiti dell’indagine, una indagine che si dimostra lunga e complicata sin dai suoi primi albori. In aiuto allo svolgimento e risoluzione del mistero giunge anche Eva Lind che rispecchia i giovani sconfitti e disillusi e che frequenta le stesse brutte amicizie della ragazza. È così che vengono a scoprire della sua identità. La giovane si chiama Birta, aveva appena ventidue anni e non era originaria del luogo. Questo porta Erlendur e il Sigurrour Oli verso i fiori dell’ovest in una terra di piccoli villaggi di pescatori. Ma chi era davvero la donna? Perché è fuggita? Com’è entrata nel cerchio senza fine della dipendenza da droga?

Al tutto si somma la canonica scrittura rapida di Indrioason, dialoghi serrati e ben congegnati con ambientazioni nella Reykjavik di mezza estate. La sensazione è quella della claustrofobia. Con questo sole all’orizzonte che sembra sempre osservare e demarcare, che scruta e separa, che inquieta con le sue luci pallide. Ottima anche l’analisi sociale, lo svuotamento dei paesi, delle coste, la crescita sempre maggiore delle città, la civilizzazione e anche l’americanizzazione del territorio sempre più coinvolto e partecipe di una realtà non appartenente alle proprie radici.
Non forse il miglior giallo dell’autore ma, certamente, piacevole. Vince infatti non tanto per trama e intrigo dell’indagine quanto, al contrario, per contestualizzazione sociale e per contestualizzazione culturale. Molto interessanti, seppur amare, le considerazioni su quel mondo sommerso che viene riportato a galla, un mondo dove l’uomo-padrone può fare della sua vittima quel che vuole poiché alcunché della reietta interessa ad alcuno. Un mondo dove sembra vigere la regola secondo la quale se hai denaro sei padrone e puoi indiscriminatamente fare quel che vuoi. Di chi vuoi. Quando vuoi. Da considerarsi più un poliziesco che un giallo e da leggere anche per avere una panoramica a trecentosessanta gradi su quella che è la realtà non solo islandese.

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Ho letto poco di Indridason, ma ho sempre trovato nella sua prosa una freddezza quasi glaciale, come il clima della sua isola. Però non scrive mai cose banali e, per quanto mi riesca difficile entrare nella mentalità di quel popolo stretto da vulcani roventi e ghiacciai perenni, val sempre la pena leggerlo.
Certo che mi viene da domandare, com'è possibile ambientare oltre 20 romanzi polizieschi con tanto di omicidi, pure brutali, in una Nazione che conta meno abitanti della provincia di Novara?
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