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Una vita negata
 
Una vita negata 2007-08-25 08:34:43 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    25 Agosto, 2007
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Un grido di libertà

Da un po’ di tempo leggo opere di qualità, cioè che lasciano il segno sia per lo stile che per la tematica.

Sono libri editi dalla Casa Editrice Il Foglio, a cui mi pare giusto tributare un piccolo plauso per la capacità di selezione e per la politica editoriale volta a privilegiare prodotti di ottimo livello, quando non addirittura eccellente.

Una vita negata di Franca Maria Bagnoli è un romanzo scritto come si deve e, soprattutto, parla di valori soffocati nell’antichità, ma che non trionfano neppure nell’epoca odierna.

Abbiamo sempre considerato - perché così ci è sempre stato raccontato - che Santippe, la moglie di Socrate, tediasse il marito con le sue continue sfuriate, che insomma il povero filosofo fosse una vittima di una donna bisbetica e insopportabile.

Il testo della Bagnoli, nel narrarci di questa vita di coppia, ribalta questo concetto che si è perpetuato nel tempo, vestendo Santippe di una nuova dignità che ne fa un personaggio di importanza ben superiore a quella del marito.

Per far ciò si basa proprio su quella storia che viene ora ad essere confutata e in particolare sulle abitudini di vita, sull’aspetto sociologico della società ateniese.

Premetto che ci sono tutti i motivi per credere che Santippe in effetti fosse la vittima di un sistema che vedeva il matrimonio come un negozio giuridico volto a rafforzare la struttura sociale della democratica Atene, con la moglie destinata solo a procreare per la continuazione della specie e il rafforzamento dello stato, oltre a provvedere alle normali faccende domestiche. Quindi, un rapporto basato su una convivenza totale, sul principio che le decisioni comuni spettavano a entrambi i coniugi, non solo non esisteva, ma era addirittura impensabile.

Sarebbe riduttivo, però, limitare l’analisi di quest’opera alla sola condizione della donna in quella società, perché Franca Maria Bagnoli, attraverso Santippe, va ben oltre, contesta la mancanza di libertà di una civiltà, pur fulgida, ma estremamente classista, tanto da considerare normale la condizione della schiavitù, con un’inclinazione tuttavia a mostrare più tolleranza per l’uomo, al punto che solo il maschio schiavo poteva affrancarsi.

Quindi una struttura sociale rigida, ferrea, dove perfino la religione aveva la funzione di conservare lo status quo, imponendo Dei creati secondo le esigenze dei dominanti.

Il riscatto di Santippe, che riceve schiave come amiche, diventa un emblema della dignità umana laddove sostituisce alle divinità correnti un Dio costruito secondo il suo modo di sentire, un amico che non ha bisogno di cruenti sacrifici per essere benevolo, ma che è dentro l’individuo e che assume sempre di più le caratteristiche della coscienza di una donna che ama il suo uomo a tal punto da giustificarlo per il suo comportamento verso di lei, perché anche lui è parte di quel sistema che ha sempre accettato e che lo condurrà alla morte, senza ribellione, da perfetto integrato in un meccanismo di cui è contemporaneamente artefice e vittima.

Scritto in modo assolutamente delizioso, con una scorrevolezza che impone la lettura quasi d’un fiato, misurato nelle descrizioni - pur splendide - al fine di lasciare ampio spazio di immaginazione, Una vita negata è molto di più di un testo che si propone di riabilitare la figura di una donna, ma è un commosso, stupendo grido di libertà.

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