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La notte della cometa
 
La notte della cometa 2012-05-09 19:40:50 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    09 Mag, 2012
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La Poesia

Dino Campana nacque a Marradi il 20 agosto 1885 e morì a Scandicci il 1° marzo 1932.
La sua fu una vita travagliata, errabonda, con ogni probabilità del tutto infelice, un’esistenza al di fuori di ogni canone, con frequenti ricoveri in manicomio.
Rifiutato di fatto dalla madre, tollerato dal padre, emarginato dai suoi compaesani che lo consideravano “il matto”, osteggiato dai letterati dell’epoca, non è difficile comprendere come Dino Campana sia passato da una naturale predisposizione (uno zio era pazzo e lo stesso genitore aveva trascorso un breve periodo in una clinica per malati mentali) alla malattia vera e propria, diagnosticata dallo psichiatra Carlo Pariani in ebefrenia, una forma acuta e particolarmente grave di psicosi schizofrenica.
Ma Dino Campana era veramente un alienato mentale e, se lo era, quali furono le cause? E’ questo che si deve essere chiesto Sebastiano Vassalli quando iniziò ricerche in proposito, ultimate le quali scrisse questo libro, una vera e propria biografia del poeta di Marradi che spesso sconfina nel romanzo, nell’indagine storica, nell’analisi comportamentale, e che non solo consente di avere un’idea abbastanza esatta dell’uomo Campana, ma anche una maggior comprensione dei Canti Orfici, il suo poema, il riflesso di una persona sola e senza speranza che si rifugia nell’unica soluzione possibile: uno stato di dormiveglia in cui il sogno è la valvola di sfogo per fuggire da una realtà intollerabile.
Rifiutato da tutti, più volte internato in manicomio, appare un’immagine del poeta simile a un anarchico errante, ma che non distrugge, non contesta, bensì rifiuta quel mondo che non lo vuole fino ad autodistruggersi, non prima però di aver alzato il suo canto di dolore e di libertà, quei Canti Orfici, prima osteggiati da tutti e poi, molto più tardi, dopo la sua scomparsa, osannati.
Si potrebbe dire che Campana presenta uno sdoppiamento della personalità: l’uomo, emarginato dalla società, che vive alla giornata seguendo improvvisi impulsi, e il poeta, o meglio la poesia. Come precisa Vassalli ci sono scrittori di poesie, ma Dino non lo è, perché in lui vive la poesia e finisce con il diventare la poesia stessa, una poesia onirica. Così Campana diventa un mezzo, una voce attraverso la quale la poesia parla, uno strumento di cui egli stesso è artefice e succube, è l’unica vita possibile che gli è rimasta e nulla ha più senso dopo il completamento dei Canti Orfici, un’opera che per l’autore è un volo senza tempo, la misura dell’esistenza di un uomo a cui è stato reso impossibile vivere da uomo.
Vassalli scrive “Ma forse è proprio vero che i poeti appartengono ad una specie diversa, «primitiva», «barbara», da sempre estinta eppure sempre in grado di rinascere come quella dell’araba fenice. I poeti autentici, dico: non i letterati o gli scrittori di poesie, ma proprio quelli per mezzo dei quali la poesia parla. Gli unicorni, i mostri”. E’ forse il più bell’omaggio a Campana, ma non è gratuito, è una valutazione ragionata, che mi trova d’accordo.
E i Canti Orfici diventano così la giustificazione di un’esistenza invivibile, quasi un’altra vita, autonoma, ma immortale.
Vassalli ha inoltre il pregio di inquadrare il personaggio nella società dell’epoca, con degli spaccati precisi e fluenti di non pochi ambienti, da quelli di paese ai letterari, dagli ambienti universitari alla triste condizione dei ricoverati in manicomio, un lavoro preciso - si potrebbe definire di cesello – che aiuta molto a comprendere la figura di Campana, forse un originale che non sarebbe mai impazzito se fosse stato accettato e rispettato come tale.
Avremmo avuto così un Dino Campana diverso e Sebastiano Vassalli avrebbe potuto scrivere questo libro solo con l’estro della fantasia, come del resto precisa “Ma se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest’uomo meraviglioso e «mostruoso», ne sono assolutamente certo. L’avrei inventato così” .
Il grande merito dell’opera è quella quindi di una ricerca della verità attraverso la quale comprendere Dino Campana e, soprattutto, i Canti Orfici.
Vassalli è riuscito a portare a termine un’impresa quasi titanica, con la pazienza e la meticolosità dello storico, unite a un grande amore per la poesia, senza il quale non avrebbe potuto concludere nulla, rimanendo attinente ai fatti, sviscerandoli, interpretando anche, ma senza inventare nulla.
Dino Campana è talmente unico che non c’è bisogno di creatività per narrare della sua vita non vita; quel che occorre, invece, è il rispetto, la pietà per l’uomo e appunto l’amore per la poesia, caratteristiche che a Vassalli di certo non mancano.
Il libro termina con un racconto di grande effetto: Natale a Marradi, relativo all’ultimo Natale trascorso da Dino Campana nel paese natio insieme a Sibilla Aleramo.
E’ la degna conclusione di un’opera di grande valore non solo storico, ma anche letterario.

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Ottima recensione. Penso sia un libro molto utile all'approccio anche iniziale a Campana, lo leggerò.

Grazie
Isabella
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