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Quanti nomi!
La vicenda narrata si liquida in due parole: un paesino (“Continuavano a chiamarlo Montelfo, o il Paese del Buon vento, ma non assomigliava più al suo nome”) viene preso d’assalto dalla speculazione edilizia (“… hai sentito i rumori nel bosco? Una ruspa gigante sta aprendo la strada, poi arriveranno le seghe meccaniche. Faranno una strada. E qua, nel belvedere del bar faranno degli appartamenti, un ristorante di lusso e un supermarket e un circolo tennis …”), che si avvale di autentici mostri (“Un meccano sauro Rex taglia-sega-strona e una ruspa Triceratops, che procedevano insieme facendo scempio di castani e faggi”) per sferrare il proprio attacco all’ecosistema.
Intorno a questo elementare filo conduttore Stefano Benni costruisce una girandola di situazioni comico-paradossali e una giostra di personaggi: per citarne una microscopica parte “… il vigile Timoteo, detto Cardellino, da quando aveva ingoiato un fischietto … Bellosguardo, sarta dotata di vista acutissima. Era capace di infilare un ago anche durante una cavalcata amorosa … Carmela Culobia, esperta e fortunatissima giocatrice … Maria Sandokan … donna di leggendario vigore fisico … Frida Fon, la parrucchiera, inventrice del capello supercotonato …”
Tra riflessioni semiserie (“Il passaggio dalle tre azioni fondamentali del pitecantropo alle ventisette dell’umano medio si chiamava civiltà”) e battute umoristiche di varia gradazione (“Tutti devono morire, anche le cose, anche i luoghi, e così le persone – disse solennemente Vitale il becchino”) Benni gioca con le parole, la fantasia e la ricchezza delle immagini. Ne esce un romanzo che è un po’ Gianni Rodari, un po’ farsa, un po’ avanspettacolo.
Personalmente ho avvertito un eccesso nel numero dei personaggi e delle situazioni, che talvolta mi sono sembrate un po’ forzate, e ho percepito un senso di sazietà da abbuffata.
Forse l’autore si è lasciato prendere un po’ troppo la mano, ma come non capire uno scrittore che non si arresta mentre si diverte con pensieri e parole e non resiste al richiamo ancestrale del gioco?
Bruno Elpis
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