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Il dolore perfetto
 
Il dolore perfetto 2013-11-19 11:15:10 Carlo Turco
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4.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
Carlo Turco Opinione inserita da Carlo Turco    19 Novembre, 2013
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Un tragitto lungo un secolo

Questo romanzo (premio Strega nel 2004), decisamente particolare nell’impianto, nello stile, e nel linguaggio, si configura come la saga di due famiglie radicalmente diverse tra loro, per convinzioni, valori, estrazione ed aspirazioni sociali. Ambientata a Colle, un immaginario paese della maremma toscana, la saga si dipana tra l’ultimo scorcio del XIX secolo e i primi anni successivi alla seconda guerra mondiale. Da una parte la famiglia libertaria costituita dalla vedova Bartoli, con un figlio dal precedente matrimonio, che si unisce per la vita al “Maestro”, un anarchico proveniente dal lontano Mezzogiorno per insegnare a Colle; dall’altra la famiglia di Ulisse Bertorelli, titolare di una florida impresa di allevamento e commercio di maiali, dei suoi fratelli, Telemaco ed Ettorre, e della moglie Rosa.
La profonda diversità tra le due famiglie si manifesta sul piano delle convinzioni, dei valori, dell’estrazione e dei comportamenti sociali, e diventerà vera e propria contrapposizione, anche cruenta, cui però si sottrarranno alcuni personaggi primari della vicenda. I destini delle due famiglie vengono infatti ad intrecciarsi ad opera di Annina Bertorelli. Annina è il nome che assume di fatto la figlia di Ulisse e di Rosa: il padre vorrebbe chiamarla Elena, secondo un’ostinata predilezione familiare dei Bertorelli per nomi presi dai miti e dalla storia dell’antica Grecia; la madre, invece, vorrebbe chiamarla Maddalena, in segno di omaggio e gratitudine per la levatrice che l’ha miracolosamente salvata assistendola nel parto gemellare. Tra Elenina e Maddalenina si afferma, quasi un compromesso, il nome Annina. Annina sposa l’ultimo dei figli del “Maestro” e della vedova Bartoli: Cafiero, nato quando il padre era già deceduto, e sopravvissuto fortuitamente alla morte accidentale della madre.
La narrazione viene svolta da diversi punti di vista – tra cui prevale quello dell’Annina – e talora particolari eventi vengono rinarrati dal punto di vista di personaggi diversi. Ma è la voce del narratore esterno e onnisciente a dominare, spesso anche tramite commenti e giudizi espliciti sulle vicende o sui personaggi.
Le vicende si svolgono sullo sfondo di eventi storici dell’intero periodo, e ne vengono tutte toccate o anche determinate (la prima guerra con l’Etiopia, la repressione dei moti milanesi, la prima guerra mondiale, l’epidemia di spagnola, l’avvento del fascismo, la seconda guerra mondiale, la rotta del corpo di spedizione italiana in Russia, l’8 settembre, il conflitto tra repubblichini e antifascisti) mentre Colle viene trasformata dalle mutazioni economico-sociali connesse allo sviluppo di una manifattura meccanica e della ferrovia. Più che a delineare un vero e proprio romanzo storico, però, mi sembra che gli eventi in questione conferiscano un’ambientazione realistica alle storie dei personaggi e agiscano come accidenti esterni, incontrollabili, nel deciderne il corso.
La narrazione si affida assai largamente all’evocazione di ricordi, all’esercizio dell’immaginazione, alla proiezione di fantasie, alla contemplazione di situazioni e scenari; il ricorso al dialogo manca quasi del tutto, così come è assente, nei vari personaggi, una inclinazione all’introspezione; l’utilizzo di flash-back e di anticipazioni è piuttosto diffuso; la prosa è ricca di metafore misurate ed efficaci, caratterizzata da passaggi lirici, elegiaci ed anche epici, ma non priva di attenzione all’ironia ed al grottesco.
Un peso notevole è assegnato ad elementi e vicende dichiaratamente emblematici. Sono ben plausibili, oltre che simbolici, i nomi assegnati ai figli del Maestro e della vedova Bartoli (Ideale, Mikhail, Libertà, Cafiero). Ma nello straripare dei nomi classici e altisonanti della famiglia Bertorelli (oltre a quelli già ricordati, Paride , Ganimede, Oreste, Tebe, Anchise, Ecuba, Penelope, Didone, Enea, Cassandra, Polluce) appare più scoperta l’intenzione di esaltare, per contrasto, i caratteri materialistici della famiglia. E non può apparire fortuita l’assegnazione di nomi estranei a questa rigida tradizione proprio a quei personaggi che dirazzano dalla famiglia dei propri ascendenti, e finiscono quindi per apparire predestinati. La costruzione di una macchina del moto perpetuo indefinita assume un ruolo esclusivamente allegorico.
Tutti questi elementi contribuiscono in termini decisi ad assegnare al romanzo una connotazione fiabesca. I personaggi interpretano i ruoli assegnati dal narratore, non evolvono in termini autonomi e personali. Valga per tutti un esempio: sarebbe inutile voler comprendere ragioni, motivi e dinamiche che conducono proprio l’Annina – la figlia di Ulisse Bertorelli da lui prediletta per essersi dedicata con vigore ad affiancare l’attività paterna di allevamento e commercio dei maiali, sostituendo il figlio maschio, Sole, nel ruolo cui il padre l’avrebbe voluto – ad innamorarsi dell’esponente postumo della famiglia avversa e ad unirsi a lui.
E’ in questi termini fiabeschi che vengono affrontati i temi del romanzo: la laboriosità delle nascite, la formazione delle famiglie, la dedizione alla propria vita, la morte, la malattia, le fughe dalla realtà, la violenza domestica, la sopraffazione degli eventi collettivi, anche la diversità sessuale. E naturalmente, e soprattutto, la sofferenza, il dolore. Questa caratterizzazione fiabesca finisce però per attenuare il senso dell’empatia: attenuazione che, a mio avviso, è accentuata dalla ricorrenza insistente e, in certa misura, fuorviante, della locuzione del “dolore perfetto”.
Con questa dizione, che a prima vista si direbbe doversi riferire a un dolore assoluto, totalizzante, esclusivo – e quindi disperato e disperante – l’autore, secondo quanto da lui dichiarato in alcune occasioni, intendeva dar vita ad una antinomia in grado di rappresentare “un rumore che la vita porta con sé,… un motore che ti spinge avanti”: sensazione di una perdita, che raggiunge un culmine, e dà ai protagonisti la forza di andare avanti; un dolore che cambia e offre una possibilità di conoscenza. Con reminiscenze della gaddiana cognizione del dolore.
La citazione ricorrente – come di un ritornello, è stato osservato – si verifica nel romanzo, secondo più di un commentatore, diciannove volte. Personalmente sono riuscito a individuarne solo quindici, riferite, di volta in volta, al travaglio di parti difficili, alla perdita della verginità, al venir meno -vissuto o immaginato - dei propri cari, al conflitto insanabile tra i propri genitori, alla prospettiva di un incontro mancato, alla consapevolezza della propria solitudine, alla propria morte, all’eclisse dei ricordi d’infanzia. Circostanze estremamente differenziate, ma spesso non dissimili da quelle in relazione alle quali la frequente menzione del dolore viene associata ad altre qualificazioni (sottile, corrosivo, comune, immenso, sordo, familiare, nascosto, esploso, fisico, che impedisce il riposo, che mangia la pancia, che ci si porta appresso, che corrode). Ma ecco, direi che, salvo una parziale eccezione in cui ad esprimersi è - non a caso- l’Annina, la dizione e la concezione del “dolore perfetto” non sembra proprio poter appartenere al carattere e alla voce dei personaggi cui è attribuita; così come , altrettanto certamente, nella specificità di parecchie circostanze, non sembra possa avere alcuna valenza di agente di cambiamento, di conoscenza, di sprone. Si avverte, cioè, che si tratta dell’espressione di una visione che appartiene tutta alla voce del narratore e alla sua interpretazione- costruzione. Tutto ciò può finire per generare nel lettore una sensazione di distacco emotivo e di astrazione cognitiva. Penso che sarebbe stato più efficace, attenuandone l’impressione di artefatto, fare emergere la concezione che dà il titolo al romanzo senza costringerla in riferimenti letterali estranei a personaggi o situazioni.
Tutto ciò non inficia tuttavia il giudizio complessivo di trovarsi alle prese con un romanzo impegnativo quanto notevole, nei modi e nei contenuti, di una lettura dotata di un suo particolare fascino, che incalza il lettore a compiere, con attenzione e partecipazione crescenti, il complesso, dolente, ma anche appagante tragitto circolare che si concluderà con la morte della protagonista con la quale si apre la storia

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