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Morte di un uomo felice
 
Morte di un uomo felice 2014-11-19 19:56:08 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    19 Novembre, 2014
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La giustizia difficile

1981. In una Milano che non è ancora “da bere” – bensì da starci attenti come pochi altri capoluoghi italiani (Bologna e Roma su tutti) per non essere “bevuti” – Giacomo Colnaghi svolge il suo delicato lavoro: da procuratore della Repubblica indaga su un gruppuscolo di estrema sinistra che ha assassinato un politico democristiano di media levatura.
Nella città lombarda la “famiglia” di Colnaghi si riduce a quel paio di colleghi con cui condivide le indagini (Caterina Franz, di Trento, e Micillo, casertano, con cui forma un embrionale pool antiterrorismo). La moglie e i due figlioletti sono a Saronno, dove il giovane magistrato si rifugia in quei giorni del fine settimana nei quali gli è possibile tornare a casa.
La lontananza dalla famiglia concede a Colnaghi molto tempo per pensare alla sua funzione, al reale significato della giustizia (dal punto di vista di chi è convintamente cristiano), alla pena e al perdono, alla rabbia dei familiari delle persone uccise... e poi a suo padre, operaio addetto al tornio nell'Italia operaia, ma giovane e irrequieto oppositore del moribondo fascismo di fine guerra mondiale.
Due tempi diversi del Novecento (anni '40 ed anni '80), due modi dissimili di contrapporre le ideologie ma una direzione comune: la violenza...

L'opera seconda di Giorgio Fontana con l'editore Sellerio è uno spaccato di quella parte degli anni '80 generata dagli ultimi '70 (a loro volta figli “degenerati” del 1968): domina un'ostilità cupa, cieca, determinata al peggio. E domina la negazione delle istituzioni, anche quando si incarnano in un magistrato come tanti altri, votato esclusivamente a fare il proprio dovere.
Un'operazione storico-letteraria ambiziosa, per un giovane scrittore che nell'anno in cui è ambientato il romanzo c'è nato. Lo studio condotto sull'epoca è innegabile e lodevole, anche se poi la volontà di dimostrarlo pare perdersi in una sovrabbondanza di citazioni (si va dai riferimenti ai tanti gruppi autonomi di sinistra sino alle vecchie canzoni di Edoardo Bennato e a Jeeg robot d'acciaio).
Imperfezione che incide ancor di più sul romanzo sembra essere la disomogeneità: l'alternanza tra la dimensione pubblica (di magistrato) e quella privata (di figlio di Ernesto Colnaghi e padre dei piccoli Giovanni e Daniele) vive di sbilanciamenti per l'una o per l'altra a seconda della “fase” del romanzo in cui si è.
In ogni caso, un libro da leggere, soprattutto per chi intende ricordare le atmosfere di un periodo difficile della storia italiana, dove uomini delle istituzioni (citati per nome nel libro ma anche nella postfazione scritta dall'autore) furono sacrificati. Così come, nello scontro tra le varie cellule terroristiche ed uno Stato ancora impreparato alla escalation di violenza, finì per essere parzialmente sacrificato il concetto stesso di giustizia: un risultato che nel libro è simboleggiato dalle riflessioni del protagonista, come dai personaggi a lui contrapposti (palesi, in questo senso, le reciproche difficoltà ideologiche che emergono durante l'interrogatorio in carcere del terrorista Meraviglia, poco dopo il suo arresto).
Punto di forza del libro appare il finale, atteso ma ben scritto: non era facile mantenere la misura che Fontana dimostra, riuscendo nell'intento di ricongiungere le storie di un padre e di un figlio in un unico respiro.

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Commenti

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Ciao Rollo, mi ha colpito il fatto che - tra l'altro - tu abbia messo in evidenza una caratteristica del romanzo che io ho trovato molto vistosa (e forse non ho sottolineato nel mio commento): la mano "giovane" dell'autore... :-)
Bruno
Ciao Rollo.
Molto bello e ben argomentato il tuo commento.
L'antifascismo e il post-sessantottismo : c'è una bella differenza !
bella analisi Rollo!
ho avuto modo di leggere e apprezzare anche io il romanzo in questione, pur riconoscendone i limiti
Si, Bruno, ho letto tutti i commenti precedenti, e mi sono sembrati abbastanza convergenti (compreso il mio), salvo quello di Annamaria, che ha mostrato una sua particolare visuale nel recensire il libro.
La mano "giovane" a mio parere si vede nel modo di presentare un periodo che non hai vissuto, magari per un soffio (come è il caso di Fontana): nella scelta di raccontarlo si vede l'ansia di mostrare che lo si è studiato approfonditamente. Sono operazioni, in fin dei conti, che non vengono naturali, e qui si vede.

Sono d'accordo, Emilio: c'è una bella differenza. Tuttavia, c'è un passaggio di "Buongiorno notte", il film di Bellocchio sul rapimento Moro, che in pochi fotogrammi avvicina, paradossalmente per contrasto, la condanna dello statista DC e la fucilazione dei partigiani: un pezzo bellissimo, che condensa anni di storia in un attimo, come solo i grandissimi autori sanno fare. Da vedere (e ascoltare: sotto "gira" Shine on you crazy diamond dei Pink Floyd).

Grazie Silvia: è un romanzo che ha qualche limite, ma le sue imperfezioni sono anche sintomo di freschezza.
In risposta ad un precedente commento
Emilio Berra  TO
21 Novembre, 2014
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Grazie Rollo.
L' 'analogia' riguarda dunque il destino tragico delle vittime.
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