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Il barone rampante
 
Il barone rampante 2015-03-01 10:06:42 catcarlo
Voto medio 
 
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Stile 
 
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    01 Marzo, 2015
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Il barone rampante

Malgrado la giovane età del suo protagonista, la ribellione di Cosimo di Rondò si rivela ben presto un’iniziativa da non prendere sotto gamba: il rifiuto degli stanchi riti della sua famiglia appartenente alla piccola nobiltà di provincia e la scelta di salire sugli alberi vengono affrontati assumendone in pieno le conseguenze così che il dodicenne decide di non mettere più piede a terra, proposito che manterrà fino alla morte. A narrarne le peripezie è il fratello minore Biagio, che ne vive le avventure per interposta persona continuando a condurre una banale esistenza terricola: Cosimo dimostra come, a dispetto di una situazione non proprio comoda, si possa passare una vita fatta di passioni e interessi che però ha il pregio di essere libera dalle convenzioni (da quasi tutte, almeno). Ingegnandosi con piccoli accorgimenti, il protagonista del romanzo predispone la sua residenza arborea e lì si fa una cultura, ama ed è riamato, vive da protagonista – per quanto possibile – il suo tempo fatto di importanti ribaltamenti. Cosimo inizia ad andare per i rami nella seconda metà del Settecento e, quando arrivano gli eventi di fine secolo, è più che pronto perché si è imbevuto di idee illuministiche leggendo libri su libri: la sua ribellione sembra armonizzarsi con quella che si scatena contro immobilismi secolari tanto che la caduta delle illusioni contribuisce ad accelerarne la fine molto di più della sopravveniente vecchiaia. Di egual peso è invece la fuga dell’amore della sua vita, quella capricciosa Violante detta Viola che fa sempre prevalere il tornaconto personale anche a dispetto dei sentimenti: l’addio definitivo è un altro dei colpi dai quali Cosimo non si riprende più. Come si vede, sono molti gli spunti che l’autore inserisce fra le pagine di questo bel lavoro che risulta ancora freschissimo a sessant’anni dalla sua prima uscita, non ultimo quello di un certo parallelismo con ‘Le confessioni di un Italiano’ suggerito da Calvino stesso (il periodo storico, la presa di coscienza di Cosimo come quella di Carlo, Viola come una versione assai più antipatica della Pisana): ciò non toglie che si tratti anche e soprattutto di un brillante romanzo di avventura – ci sono anche i pirati - in cui il protagonista deve superare una serie di situazioni difficili. Nato dal più classico dei ‘cosa succederebbe se’, il libro segue Cosimo nelle battute di caccia che gli garantiscono più della sopravvivenza, nelle sue amicizie con gli umili siano essi contadini o i miseri carbonai che vivono nel bosco, nel suo trasfigurarsi per le menti altrui da realtà a leggenda: una serie di episodi che sono stati alla base della divertita lettura giovanile che ricordavo e che hanno dimostrato la loro capacità di intrattenere anche in età adulta. Una capacità in cui non è secondaria la limpida scrittura calviniana che sa risultare semplice pur essendo intessuta di molte immagini e accurate descrizioni che servono a ricostruire l’angolo di mondo in cui si svolge l’azione: un’insenatura ligure dalla fitta vegetazione che non si chiama Ombrosa mica per niente (al giorno d’oggi Cosimo avrebbe qualche problema in più a vivere e soprattutto a spostarsi sugli alberi) in fondo alla quale occhieggia pacifico il mare.

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