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Sardinia blues
 
Sardinia blues 2015-03-05 20:01:58 catcarlo
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
catcarlo Opinione inserita da catcarlo    05 Marzo, 2015
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Sardinia blues

E’ curioso come questo romanzo, così concentrato nel tentativo di evitare gli stereotipi sulla Sardegna, finisca poi per impigliarsi in tutta un’altra serie di stereotipi di carattere puramente narrativo. Prima di tutto, parliamo dell’isola: ogni tot di pagine qualche personaggio, in special modo l’io narrante, parte con una qualche tirata contro la Costa Smeralda dei riccastri o l’ immagine della Barbagia arretrata e, se all’inizio la cosa è giustificata dalla (laterale) visione del mondo del protagonista e dei suoi amici, a lungo andare la ripetitività inizia a farsi fastidiosa. Inoltre, se lo scopo è stare lontani dalle immagini risapute, infilare nella storia (con la quale c’entra poco) un pastore omosessuale non è un’idea così brillante. All’inizio il romanzo promette di più, con il racconto di una sgangherata rapina che permetta ai tre amici di fare qualche soldo: la calura e il vuoto della Sardegna interna sono percepibili quasi fisicamente e la scrittura di Soriga trascina il lettore con facilità grazie al suo periodare incalzante e al ritmo che deve più di qualcosa agli autori contemporanei statunitensi. Con lo scorrere delle pagine, però, ci si accorge che non c’è una storia ben delineata, bensì un certo numero di rivoli narrativi collegati fra di loro dalla figura di Pani che racconta il tutto (dalla prospettiva di Joe Gillis-William Holden in ‘Viale del tramonto’) intrecciando un presente abbastanza mediocre ai ricordi del passato. Con Licheri e Corda forma un trio giovanile senza prospettive che, con poco senso della misura, vede se stesso come un gruppo di drop-outs ribelli al tran-tran della vita: un malato cronico, en ex tossico e uno scrittore fallito che si imbarcano in strane imprese per impinguare le loro casse, come la sgangherata rapina in casa del padre della matura amante di Pani. A proposito di donne, ne escono malissimo e, forse a causa del culto del protagonista per la fidanzata perduta, la parte femminile della popolazione isolana pare divista tra più o meno attempate baciapile e più o meno giovani sempre disponibili nei confronti di variabili combinazioni di droga, alcool e sesso, come nell’episodio dedicato all’amica Elisa, troppo lungo e di assai poca utilità. Le parti migliori risultano così i dilatati flashbacks raccontati dai personaggi in lunghi discorsi che a volte sembrano inarrestabili flussi di coscienza: fra di essi spiccano quelli dedicati da Pani alla talassemia, la malattia con cui deve fare i conti dalla nascita e che ha influenzato in modo pesante le sue relazioni con il prossimo. Il carattere autobiografico del particolare con ogni probabilità contribuisce a far sì che le pagine ad esso dedicate siano quelle più in grado di comunicare dando profondità a una scrittura che – va ribadito – è sempre brillante e sa come trascinare il lettore al dilà degli squilibri e delle ingenuità che azzoppano un romanzo che, uscito nel 2008, è comunque solo il secondo pubblicato dal suo autore.

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