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Ota Benga
 
Ota Benga 2015-03-31 08:35:12 Mian88
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
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Contenuto 
 
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    31 Marzo, 2015
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Libertà, umanità e discriminazione.

Lo scenario che si apre dinanzi al lettore è quello di una New York di inizio Novecento, una città nel pieno del suo sviluppo culturale ed economico eppure ancora vittima di stereotipi e pregiudizi. Emanciparsi non è dunque semplice per Arianna Sarris, una giovane ragazza di origini greche, il cui unico desiderio è quello essere indipendente, studiare, lavorare, affermarsi per il suo valore e non essere giudicata per una scelta di vita (nella fattispecie lasciare la casa materna per andare a convivere un uomo che ama).

L'impiego lavorativo presso lo zoo del Bronx la conduce verso quella che per molti è una singolare ma redditizia attrazione: un pigmeo di soli ventitré anni salvato dalla schiavitù da un missionario americano (dopo la brutale distruzione del suo villaggio natio) e di poi da questo condotto negli Stati Uniti con la promessa di una nuova vita e la realtà dell'ennesima prigionia insieme ad orangutan e scimpanzé.

Siamo nel 1904 ed il destino di Ota Benga è inequivocabile così come la sua esposizione inevitabile perché egli, secondo una opinabile interpretazione delle teorie darwiniane, altro non è che l'anello di congiunzione tra l'uomo e la scimmia, e tra successo e proteste i suoi giorni in quella terra di individui dalle parole incomprensibili scorrono nel rimpianto di un'anima strappata alla sue origini, alla sua libertà. Non ha bisogno di parole il pigmeo, con un semplice sguardo è capace di leggere l'anima del suo interlocutore e di porre in crisi le convinzioni di chi ha la presunzione di credersi superiore.

Dinanzi a tale ingiustizia inizierà per la perseverante fanciulla una riflessione interiore che si esprimerà e concretizzerà in un dialogo silenzioso con quell'alternativo conversante di nome Ota benga, perché Arianna è ricerca, è meditazione, è intelligenza, è voglia di essere e di trovare per infine arrivare, tra l'altro, a comprendere che il tesoro più grande è riservato a chi è in grado di coltivare il dubbio nonché l'analisi.

Ma chi era Ota Benga? Il giovane africano è un personaggio realmente esistito appartenente ad un universo che ai nostri occhi è sempre più un “passato remoto”, un ricordo dei tempi che furono. Di origini congolesi (popolo dei pigmei Mbuti) viveva con il suo villaggio in pace ed armonia nei pressi del fiume Kasai nel Congo Belga. Quando Leopoldo II di Belgio decise di sfruttare intensivamente le risorse di gomma del territorio (c.d. stagione del “Terrore della gomma") furono sterminati - nell'arco di 23 anni -ben 10 milioni di nativi congolesi, ovviamente il villaggio del nostro protagonista non fece eccezione. Benga, che nei giorni di massacro si trovava in altri territori per una battuta di caccia, trovò al suo ritorno morte e distruzione, e a sua volta finì con l'essere venduto come servo per un'oncia di sale e un rotolo di tessuto dagli schiavisti locali al missionario Samuel Phillips Verner. Una volta in America Benga ed i suoi connazionali attiravano, grazie alle loro performances, ben 40.000 spettatori al giorno a cinque centesimi di dollaro a visitatore oltre ad un extra per le fotografie scattate. Di fatto gli africani erano prigionieri e furono definiti dagli scienziati del tempo – tra i tanti W.J. McGee – “il grado più basso dello sviluppo umano”.

Dopo essere stato restituito a Verner e di poi reimpiegato in un museo, Benga, fu destinato allo Zoo del Bronx. E se da un lato ineludibile fu il suo successo altrettanto significative furono le proteste per queste esibizioni; in particolare il reverendo James H. Gordon sostenne che queste mirassero a dimostrare la realtà del Darwinismo oscurando il Creazionismo. Successivamente il pastore prese il pigmeo sotto la sua ala protettrice cercando di “americanizzarlo” facendogli incapsulare i denti, vestendolo secondo usi e costumi dei bianchi ed inserendolo in un corso di inglese che fu presto interrotto dal ragazzo per andare a lavorare nella fabbrica di tabacco di Lynchburg, Virginia, in cui divenne popolare per la sua capacità di arrampicarsi sulle cime dei pali su cui veniva fatto essiccare il prodotto senza dover dunque ricorrere all'uso di una scala. Il desiderio di tornare il Congo non scomparve mai dal cuore e dalla mente del nostro protagonista e numerosi furono i tentativi di rientrare in terra natia, sogni brutalmente distrutti dal sopraggiungere della Prima Guerra Mondiale. Non vi svelo oltre, mi limito semplicemente a sottolineare che la vita di quest'uomo è stata utilizzata per dimostrare “la supremazia” dei bianchi sugli uomini di colore sia dal punto di vista antropologico che culturale, quando al contrario questa vicenda dovrebbe semplicemente costringere chiunque ad interrogarsi sul chi sia veramente il selvaggio, sulle violazioni e privazioni di libertà propri dei nostri comportamenti, sull'eguaglianza di ogni uomo, sulle teorie del tempo e la spaventosa assonanza con le convinzioni di oggi.

Mediante la voce di Arianna, Monda ha rievocato un passato sconosciuto per alcuni e dimenticato per altri, un mondo tutt'ora attuale e di grande insegnamento. Stilisticamente piacevole (seppur talvolta tenda a divagare su dettagli superflui) il romanzo si presta ad una lettura rapida ma ricca di contenuti storici ben argomentati. Breve ma intenso.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
A tutti. È il terzo volume della collana sul novecento newyorkese avviata da Monda ma si legge benissimo a prescindere dai volumi precedenti.
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Commenti

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Complimenti, Maria , per l'interessantissimo commento e per la 'scoperta' di questo libro, che ci ricorda gli orrori compiuti su popolazioni inermi, spesso dimenticati talvolta perfino dai libri di storia.
Interessante, non lo avevo mai sentito.
Sono dell'esatto avviso di Emilio. Complimenti per aver portato all'attenzione questo libro!
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