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Vino e pane
 
Vino e pane 2016-08-12 13:32:38 siti
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
siti Opinione inserita da siti    12 Agosto, 2016
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Fame d'azione, sete di fede

Il secondo romanzo scritto da Ignazio Silone in esilio, tra il ’35 e il ’36 dopo l’esordio di Fontamara, è incentrato sulla storia di un uomo, Pietro Spina, per molti tratti l’alter ego letterario e ideologico dello scrittore. Il protagonista è in esilio e, malato, sente prepotente il richiamo della sua terra dove torna celando la sua vera identità e vestendo i panni di un sacerdote. Tra alterne vicende entra lentamente in contatto con una comunità che subisce, come qualsiasi altra disgrazia, il fascismo , quasi senza patire più di tanto. Si assiste ad uno scontro di priorità: il vecchio mondo fucinese gratta la terra, attende le stagioni, ne patisce i capricci, si arrocca su valori saldi ma più di tutti sull’onore, non è deprivato della propria libertà, la terra l’ha già ampiamente vincolato. Di contro il non più giovane rivoluzionario, il prete anziano, qualche altro nuovo giovane patiscono la libertà negata. “La politica è un lusso riservato a persone ben nutrite”, i poveri hanno un sistema morale che mira a salvaguardare le apparenze e poi rotolano, insozzati, nei loro stessi peccati. Le giovani si procurano aborti rischiando di morire, le mamme piangono il disonore, gli amori sono sottomessi all’economia domestica o a matrimoni più fruttuosi, può capitare che non ci sia posto neanche per l’amore verso Dio quando la donna serve in casa. Gli uomini escono la mattina, tornano la sera, sulle spalle il peso di una terra sempre meno produttiva. Ognuno vive come può. In queste lande desolate neanche il conforto di un prete è garantito, c’è sete di sacramenti, c’è bisogno di conforto spirituale. Il rivoluzionario malato e passivo si ritrova, non volendolo affatto, a svolgere questo ruolo. D’altronde dov’è la Chiesa? Aspetta tempi migliori, si pasce di un concordato, non cura le anime ferite e meno che mai si sogna di denunciare soprusi, guerre, ingiustizie. China il capo, come tanti.
Pietro no, non ci sta, tenta con tutte le sue forze l’azione ma è confinato, peggio che in esilio. Pochi atti sono a sua disposizione e quel poco che può lo fa , intanto lascia al suo passaggio la stessa nomea che lo aveva preceduto arricchita stavolta di alti valori morali che pur non appartenendogli per credo religioso sono proprio quelli che ci si attenderebbe da un’istituzione che non è riuscita a proseguire l’opera di Cristo.
La lettura di questo romanzo è gradevole, notevole invece è la sua importanza storica e letteraria se pensiamo che circolò clandestinamente in Italia quando niente era concesso. Ha sicuramente infervorato quegli animi puri che nessun potere poté piegare. Oggi , mutati i tempi, la lettura è utile a tutti perché rimarca la necessità di preservare la propria libertà di coscienza a dispetto dei tempi che si vivono e dei fatti che si subiscono. L’azione è nella nostra coscienza, sempre: essa è la forma di fede più alta che si possa perseguire. Il potere politico? “Intrabit ut vulpis, regnabit ut leo, morietur ut canis”. Vi ricorda qualcuno? A me più di uno!
Insomma, sempre attuale.

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Consigliato a chi ha letto...
Fontamara
il segreto di Luca
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Commenti

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Proprio una bella recensione, Laura.
Rispetto a "Il segreto di Luca", qui c'è maggiore intensità; poi, alcune parti sono veramente belle (almeno, secondo me).
In risposta ad un precedente commento
siti
13 Agosto, 2016
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Molto, Renzo. Molto acuto, Silone.
In risposta ad un precedente commento
siti
13 Agosto, 2016
Segnala questo commento ad un moderatore
Ciao Emilio, io ho preferito il ritmo de "Il segreto di Luca", qui è più ampio il respiro narrativo ma a mio avviso manca una certa intensità emotiva; vi è più tensione ideologica che comunque io apprezzo tanto.
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