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Le stanze dell'addio
 
Le stanze dell'addio 2018-02-25 08:23:32 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    25 Febbraio, 2018
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Un addio doloroso e profondo

Yari Selvetella è conosciuto per i suoi saggi e reportage sulla storia della criminalità. Ha pubblicato La banda Tevere, e lavora come autore televisivo, inviato e presentatore per Rai Uno. Ora approda in libreria con Le stanze dell’addio, un testo molto personale e molto commovente sulla perdita della persona amata.
“Le stanze dell’addio” sono le tappe metaforiche di un lungo e sofferente percorso: quelle della malattia, che non lascia scampo e non perdona. Una malattia il cui odore resta addosso, non concede nulla, a lungo lo si respira. Perché la malattia è come
“un vento da ponente, il nostro vento ci inganna, spazza le polveri, assomiglia a una metafora, non lo è, non torna il sereno, ma andiamo e il belato dello scooter ci culla, poggi la testa sulle mie spalle. Che amore inutile è l’amore che non protegge, l’amore che non cura e non difende, l’amore che non può, un amore crudele sento di portarmi addosso come l’amore di dio.”
La donna è Giovanna De Angelis, editor di professione,scrittrice, madre di tre figli. Lo ha reso vedovo, e lui non accetta la scomparsa dell’amata. La cerca, in ospedale, definito come “un lungo intestino”, dove tutto torna, implacabile: le flebo, gli aghi, i lividi, per cui:
“Non riesco a ricordare il nome di quella tortura che ha lo scopo di verificare la fluidità, lo scorrimento di certe irrorazioni, le quale pare vadano estratte con lunghe siringhe speciali particolarmente dolorose per le persone magre come te.”.
Il libro, pur essendo autobiografico, ha una voce narrante estranea e nell’osservazione di un barista che si rivolge all’uomo rimasto vedovo. Il compagno, rimasto solo, sale e scende, entra ed esce dai luoghi del nosocomio. Fuori il mondo, contiguo e contingente, estraneo. La verità è amara. La fine, “un grembiule trasparente”, parla come l’amore, un altro amore. E’ necessario sopravvivere, combattere, senza arretrare. L’autore dà, in questo modo, voce ad un addio che sembra continuamente sfuggire al tentativo di essere pronunciato e
“scrive un kaddish laicissimo eppure pervaso dal mistero che ci unisce a coloro che abbiamo amato.”.
Una lettura commovente, struggente, intima ed intimistica, stupenda, di gran fascino all’interno di quelle che l’autore chiama “le balene dell’anima”. Su tutto:
“l’addio di Yari Selvetella, il più avvincente degli abbracci.”.

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