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Il visconte dimezzato
 
Il visconte dimezzato 2018-09-03 23:22:17 Lorenzo La Rocca
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
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Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
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Opinione inserita da Lorenzo La Rocca    04 Settembre, 2018

Libro filosofico di piacevole lettura

Dietro la fantastica storia narrata nel romanzo di Italo Calvino, “Il visconte Dimezzato”, e ambientata alla fine del 500, si cela l’obbiettivo da parte dell’autore di trasmettere un messaggio contemporaneo. All’inizio del romanzo, prima ancora del duello, ci troviamo di fronte ad un visconte ancora giovane e immaturo, che è fisicamente intero, ma nell’anima incompleto. Egli non conosce né il bene né il male e pertanto è indifferente ad entrambi. In questo modo egli risulta essere un uomo privo di identità, che lascia che i fatti scorrano dinanzi ai propri occhi con la massima freddezza e impassibilità. In questo momento del romanzo, egli appare dunque, come un personaggio privo di sentimenti e di spirito critico, che si lascia travolgere dal moto perpetuo della vita senza alcuna possibilità di intervento. E’ incapace di prendere posizione perché per lui il bene e il male sono la stessa cosa. Non esiste alcun confine, non c’è una linea di frattura.

“Era allora nella prima giovinezza: l'età in cui i sentimenti stanno tutti in uno slancio confuso, non distinti ancora in male e in bene; l'età in cui ogni nuova esperienza, anche macabra e inumana, è tutta trepida e calda d'amore per la vita.
“Quella notte, benchè stanco, Medardo tornò a dormire. Camminava avanti e indietro vicino alla sua tenda e sentiva i richiami delle sentinelle, i cavalli nitrire e il rotto parlare nel sonno di qualche soldato. Guardava in cielo le stelle di Boemia, pensava al nuovo grado, alla battaglia dell’indomani, e alla patria lontana , al suo fruscio di canne nei torrenti. In cuore non aveva né nostalgia, né dubbio,nè apprensione. Ancora per lui le cose erano intere e indiscutibili, e tale era lui stesso. Se avesse potuto prevedere la terribile sorte che l’attendeva, forse avrebbe trovato anch’essa naturale e compiuta, pur in tutto il suo dolore. Tendeva lo sguardo al margine dell’orizzonte notturno, dove sapeva essere il campo dei nemici, e a braccia conserte si stringeva con le mani le spalle, contento d’aver certezza insieme di realtà lontane e diverse, e della propria presenza in mezzo a esse. Sentiva il sangue di quella guerra crudele, sparso per mille rivi sulla terra, giungere fino a lui, e se ne lasciava lambire, senza provare accanimento né pietà. “

Dopo il duello, sembra che che si salvi solo una parte del visconte, quella “malvagia”, che comincia a compiere atrocità e malvagità nei confronti delle persone a lui vicine. Ad un certo punto del romanzo, si scopre che anche l’altra metà del visconte si è salvata. Questa volta si tratta della parte “buona”, che però, pur compiendo atti di carità e benevolenza, si rivela sin troppo “bonacciona” con risultati spesso negativi, e finendo anch’essa per inimicarsi gli abitanti del territorio. In entrambi i casi dunque, l’eccesso, che sia nel bene o nel male, porta solo ad esiti disastrosi. E’ evidente qui il messaggio dell’autore, volto a condannare qualunque forma di eccesso e a premiare invece la compresenza di entrambi gli aspetti per il raggiungimento di una condizione di stabilità ed equilibrio. A riprova di ciò, alla fine del romanzo le due parti si ricongiungeranno, grazie all’intervento del dottor Trewlaney. Si tratta del momento più significativo del romanzo, perchè l’unione dei due mezzi uomini, porterà alla rinascita dell’uomo intero e completo non solo fisicamente,ma anche nell’animo. Il Visconte finalmente dunque, ritornerà intero fisicamente, ma questa volta potrà avvalersi dell’esperienza dell’una e dell’altra parte di sè, del bene e del male ,che gli consentirà di acquisire una visione più profonda e completa della realtà.


“Cos’ mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di esser diventato. Ma aveva l’esperienza dell’una e dell’altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio. Ebbe vita felice, molti figli e un giusto governo”.

L’idea che traspare è che il bene e il male siano due entità intrinseche dell’animo umano, di cui l’una ha bisogno dell’altra per completarsi a vicenda. Ecco che in fondo, il bene e il male possono considerarsi due aspetti complementari della stessa realtà, due facce opposte della stessa medaglia. Premessa dunque la necessaria compresenza del bene e del male all’interno di ciascuno di noi , l’obbiettivo dell’uomo diventa quello di riuscire ad equilibrare i due aspetti, in modo che nessuno dei 2 prevalga sull’altro. Ma questa visione si estende anche al mondo, alla realtà che ci circonda: a volte ci capita di proiettarci in un mondo futuro, definito “perfetto” in cui non ci sono le guerre, non ci sono atti crudeli, né malvagità, non ci sono atti di cronaca nera, ma l’uomo in perfetta armonia con sé stesso, con gli altri, e con la realtà che lo circonda. Ma la perfezione in realtà non esiste, e questo mondo a cui noi tanto auspichiamo non è altro che un mondo utopico, in cui esiste solo il bene. Peccato che, la presenza del male, per quanto possa sembrarci strano, è fondamentale e necessaria, tanto quanto la presenza del bene. Noi non saremmo in grado di sviluppare una visione di fondo della realtà se non avessimo la conoscenza del male, e viceversa se non conoscessimo il bene avremmo una visione limitata e parziale della realtà. Allo stesso modo, dal male inspiegabilmente può nascere il bene, così come dal bene può nascere il male. Insomma, il bene e il male sono due aspetti che dominano l’animo umano, e più in generale il mondo, che non potrebbero essere tali senza la loro compresenza. All’inizio il visconte rimane indifferente alle vicende, freddo, assolutamente impassibile e acritico, perché ancora non è a conoscenza né del bene né del male, per cui non è capace di distinguerli. Alla fine del racconto invece, egli ha subito un processo di maturazione e ha acquisito una visione più profonda della realtà: avendo avuto esperienza dell’uno e dell’altro, adesso è capace di capire cos’è il bene e cos’è il male, e agire di conseguenza.

Ciò che però resta come un filo sospeso all’interno del romanzo, è la possibilità reale di raggiungere questa completezza a cui tanto l’uomo aspira, dal momento che "Medardo intero dell’inizio, indeterminato com’è, non ha personalità né volto; del Medardo reintegrato della fine non si sa più nulla; e chi vive nel racconto è solo Medardo in quanto metà di se stesso"  Lo stesso Calvino spiega che , quando ha composto quest’opera, lo ha fatto perchè pensava che il tema dell’uomo dimezzato avesse un significato contemporaneo:
“tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra”. Ecco dunque, che l’uomo dimezzato diviene metafora dell’uomo contemporaneo, “Dimidiato, mutilato, incompleto, e nemico a sé stesso.”

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