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La stanza di sopra
 
La stanza di sopra 2019-06-25 09:03:10 Mian88
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    25 Giugno, 2019
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Triplici silenzi

«Non ho mai avuto spade per infilzare ma i tagli sulla mia pelle sono cicatrici ancora molli, acquose, fessure che si aprono da un momento all’altro, come uno strappo»

Un padre, una madre e una figlia, Ester. Tre dolori, tre silenzi, tre dimensioni i cui confini sono definiti da quella stanza di sopra in cui l’uomo giace nella sua irreversibile condizione di immobilità. La moglie, maestra, che si prende cura di lui non riesce a instaurare un rapporto con quella quindicenne che ha innalzato un muro di protezione, che si è chiusa nel suo mondo escludendo tutto il resto, che non riesce ad entrare nel luogo della malattia. Non ne è capace perché per prima è lei, l’adulta, che non riesce a farsi spazio in quella nuova vita, in quel dolore condiviso eppure così singolo, personale e individuale. La sua unica scialuppa è quel divano verde sbiadito in cui si rifugia al calar della sera. E poi c’è lei, Ester. Ester e le sue fughe, Ester e i suoi compiti non fatti, Ester e le scorribande con gli amici, Ester e le sigarette, Ester e gli uomini a cui si concede e ritrae per sentirsi al centro dell’attenzione, per sentirsi viva, per sentirsi donna, per sentirsi figlia, per sentirsi di nuovo circondata da quelle braccia forti e possenti di un babbo che non ha.
Ed ancora c’è lui, il padre, condannato alla sua immobilità fisica ma non mentale, alla sua incapacità di proferir parola, all’intervenire, spettatore obbligato passivo di una realtà che si dipana innanzi ai suoi occhi e che in alcun modo può modificare, fermare, mutare. È vivere il suo?
I silenzi che si perpetrano tra le pareti. Ieri e oggi. Ricordi di bambina in un corpo di carne di una giovane donna quasi adulta in balìa degli impulsi e alla ricerca di brusii, di rumori; i ricordi di una madre impotente prigioniera del vuoto.

«Mi ha parlato troppo, oggi, mia madre. Ha riempito di parole la stanza di sopra, perché assorbissero il silenzio di mio padre. Non ne può più. Non ha più forza, adesso, per parlare»

Un’amica, l’unica con cui confidarsi di tutto tranne che dell’unica cosa di cui davvero dovresti parlare, di quell’unica storia importante. Una compagna di classe che chiami la secchiona con cui studi quel poco che basta, che in un certo senso invidi per quel padre autoritario e dal vociare regolare che tu non hai, che pian piano perderai seppur non volontariamente. Errori, cadute, nudità.

«La bambina avrà per sempre questa voglia di scappare. Penserà sempre di non poter recuperare nulla, destinata alla perdita in modo definitivo. Se ne vergognerà, per tutta la vita.»

Un romanzo di appena 195 pagine è “La stanza di sopra” di Rosella Postorino ove vengono trattate tematiche di grande rilievo che vanno dalla malattia ai legami familiari passando per l’adolescenza, l’amicizia e la solitudine di un dolore che non sai affrontare e che ti impedisce di trovare la tua collocazione, il tuo essere. Ampio spazio è lasciato inoltre agli errori, a quegli sbagli talvolta compiuti perché troppo giovani, perché convinti di poter comandare il mondo o semplicemente di “saperla lunga”. Errori, sbagli con cui poi sei condannato a convivere per sempre ma che se analizzassi a mente fredda e con sguardo maturo, ti renderesti conto non essere davvero tuoi perché quel “no” è stato pronunciato. Ma tu ormai sei un’anima fragile, non c’è nessuno a proteggerti dagli altri e da te stessa. Sei vittima delle tue stesse azioni, delle tue stesse non-azioni. Un esordio, quello della Postorino, che dimostra sin dalle prime battute quello stile inconfondibile che è consueto nelle opere successive (vedi “Le assaggiatrici”) e che o si ama o si odia. L’intreccio narrativo è inoltre solido, ben costruito. Le voci narranti si alternano senza difficoltà tra presente e passato ricostruendo quel che è accaduto e quel che sta accadendo. Ancora un po’ acerbo e dall’epilogo duro e forse un po’ troppo accelerato, ma una buona prova nello specifico per problematiche affrontate.

«Ti preparavo da mangiare e intanto ti lasciavo leggere. Volevo prendermi cura di te. Sapevo che eri seduta lì, il libro tra le mani, che stavi cercando frasi, parole, virgole e spazi bianchi di cui una volta ti eri innamorata. Tu che amavi ogni volta per sempre, che non sapevi amare in nessun altro modo, un’abitudine imbarazzante»

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