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Consigli per essere un bravo immigrato
 
Consigli per essere un bravo immigrato 2019-12-26 11:47:31 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    26 Dicembre, 2019
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Storie d’immigrazione

“Quando non sai dove stai andando, ricordati da dove vieni.” (proverbio africano)

Pubblicato alcuni mesi fa da Elliot Edizioni, “Consigli per essere un bravo immigrato” è un breve romanzo che va ben oltre la finzione letteraria. L’autrice, Elvira Mujcic, classe 1980, racconta in queste pagine anche molto di sé e della propria personale vicenda di immigrata bosniaca in fuga dagli orrori della guerra che, più di vent’anni fa, travolse il suo Paese e tutta la ex Jugoslavia.
Partendo dalla storia di Ismail, giovane gambiano richiedente asilo in Italia, il libro invita a riflettere su un fenomeno estremamente complesso e drammatico come quello dell’immigrazione, gestito – come qui si evidenzia per bene – da una macchina burocratica “totalmente priva di senso” che macina a ritmo variabile i sogni e le speranze di tanti giovani rifugiati. Infatti, seppur le tristi realtà dell’Africa siano lontane, in Italia, a cui si approda dopo viaggi nel Mediterraneo per noi ormai di ordinaria cronaca, occorre fare i conti con pregiudizi, razzismo e ansia nell’attesa di un sì o un no (capricciosi?), da parte dell’apposita commissione cui spetta il compito di ascoltare e valutare ogni singola storia ai fini del rilascio del permesso di soggiorno con relativa protezione internazionale.
Non stupisce l’attenzione particolare riservata alle parole: chi scrive, del resto, anche in virtù della propria esperienza, è ben consapevole di come si attribuiscano “[…] nomi ingannevoli alle cose, nomi che ammantano di significati altri e illusori la realtà dei fatti.”

“Usiamo parole come clandestino o immigrazione illegale in maniera distorta, attribuendo la colpa a chi arriva qui e si trova a vivere la condizione di clandestinità e non a chi ha creato un sistema per rendere le persone illegali.”

E mentre si rovista dolorosamente nella memoria e si affronta anche il tema della sparizione che crea un triste parallelismo tra la Bosnia ed Erzegovina della stessa Mujcic e il Gambia del suo personaggio Ismail (dove numerosi detenuti politici, caduto il dittatore Jammeh pochi anni fa, non sono più stati ritrovati all’interno delle prigioni), si cerca di comprendere se esistano o meno, per chi subisce lo status di straniero, consigli per diventare buoni immigrati, al fine di evitare di essere bruscamente respinti da una società di accoglienza che impone rigidi e ottusi stereotipi ai quali occorre aderire: l’immigrato privo d’istruzione e in costante bisogno economico, il profugo in fuga da guerre dichiarate ed eclatanti, il rifugiato stuprato e mutilato.

“Quello che ci si aspetta di ascoltare da un rifugiato è una storia devastante, più morti e torture ci sono, meglio è. […] Un’altra indicazione da tenere a mente è che una volta che si è scivolati giù per la scala della miseria e della sciagura è auspicabile non risalirla mai più. Oppure risalirla un poco, il giusto affinché tu sia sempre riconoscibile e non pretenda mai di arrivare a un livello pari agli abitanti del paese che ti ospita.”

Nemmeno conoscere la realtà dei fatti sembra aiuti a comprendere. Quando, dunque, saremo disposti a riconoscere che esistono anche guerre latenti e silenziose, che ciò che succede in Africa dal periodo postcoloniale a oggi è radicato nell’antico dramma della schiavitù e nelle scellerate politiche predatorie dell’Occidente, che non esiste come lingua comune – giusto per rasentare il ridicolo – l’africano, tout court, ma una miriade di parlate dall’arabo e berbero del Nord agli idiomi delle popolazioni più australi?
Attraverso una scrittura coinvolgente, bellissima nella forma e nella sostanza, Elvira Mujcic con questi suoi “Consigli per essere un bravo immigrato” dona al lettore una piccola storia di grande impatto, mettendo al bando la banalità e l’ipocrisia dei luoghi comuni a favore della consapevolezza di quanto sia essenziale creare solide e concrete relazioni umane. Da leggere!

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Commenti

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“Usiamo parole come clandestino o immigrazione illegale in maniera distorta, attribuendo la colpa a chi arriva qui e si trova a vivere la condizione di clandestinità e non a chi ha creato un sistema per rendere le persone illegali.”
Molto molto molto vero. Si arriva in un balzo all'equazione "clandestino=soggetto che delinque", del tutto indimostrata eppure molto accreditata. Frutto di una visione sbagliata del tema.
Grazie, Laura.
In risposta ad un precedente commento
Laura V.
27 Dicembre, 2019
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Grazie a te, Rollo! Cerca questo libro, ti piacerà senz'altro! :)
IN TE RES SAN TE!
Grazie
In risposta ad un precedente commento
Laura V.
29 Dicembre, 2019
Segnala questo commento ad un moderatore
Grazie a te, come sempre, Marianna!
4 risultati - visualizzati 1 - 4

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