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Il colibrì
 
Il colibrì 2021-07-06 19:49:18 Unda Maris86
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Unda Maris86 Opinione inserita da Unda Maris86    06 Luglio, 2021
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"Sarai felice, sarai infelice, sarai di nuovo feli

"Da' tempo al tempo, abbi fiducia: t'innamorerai, sarai insicura, dirai di no, sarai sicura, dirai di sì, sarai felice, sarai infelice, sarai di nuovo felice, tutto accadrà quando sarà tempo" (p. 326).

E' così che Marco Carrera, il "colibrì" - questo il soprannome che gli aveva dato sua madre da piccolo per via della sua corporatura minuta -, immagina di rivolgersi alla figlia di sua figlia, Miraijin. Come suo nonno Marco e sua madre Adele, ella ha un piccolo neo tra il mignolo e l'anulare della mano destra, una sorta di "marchio di fabbrica" che ne suggella l'appartenenza al destino della famiglia. Non solo: Miraijin - nome giapponese che vuol dire "uomo del futuro" / "umanità nuova" - è venuta al mondo in una data che è già di per sé una singolare combinazione numerica, il 20 10 2010. E, come se tutto ciò non bastasse, la ragazza, crescendo, acquista un fascino quasi sovrannaturale che sembra sbocciare e manifestarsi insieme ai numerosi talenti di cui, man mano, appare dotata: Miraijin, infatti, ha il dono di riuscire bene in tutto ciò che fa, attratta spontaneamente da ciò verso cui è per propria natura portata. E', in sostanza, proprio l'emblema di quell' "umanità nuova" scritta nel suo nome, una generazione di individui che "penseranno al plurale" e porranno la cultura "al primo posto tra i loro interessi" (p. 332). Insomma, il seme della rinascita universale dopo il vorticoso succedersi di dolori ed eventi negativi che hanno attanagliato la vita di suo nonno Marco Carrera, "il colibrì".

Tuttavia, la forza del romanzo, a mio avviso, non si coglie nell'invito alla speranza che l'Autore, Sandro Veronesi, sembra volerci lasciare come nota finale (dove non si può fare a meno di cogliere un esagerato idealismo ed una perfezione forse un po' distanti dalla realtà). La forza del romanzo è nel titolo, ossia nella metafora del colibrì: questo uccello, infatti, oltre ad avere un corpicino molto gracile, ha bisogno di sbattere le ali circa settanta volte al secondo per mantenersi in volo. Ciò vuol dire che ogni colibrì compie uno sforzo enorme semplicemente per non perdere l'equilibrio o, detto con le parole del libro, "mette tutta l'energia nel restare fermo". Si scopre, allora, che Marco Carrera è come il colibrì non solo per il suo fisico minuto - peraltro poi prodigiosamente cresciuto nel giro di pochi mesi, durante l'adolescenza, grazie ad una cura ormonale -, ma anche e soprattutto perché il suo sforzo principale è, per l'appunto, restare in equilibrio, anche nei momenti più tragici della sua storia personale e familiare. Chi gli sta intorno, spesso, non percepisce minimamente le sue "acrobazie", non vede le sue ali da colibrì impegnate in cento e più sforzi, che si tratti di riorganizzare radicalmente le proprie priorità, di accudire entrambi i genitori gravemente malati, di confrontarsi con lutti improvvisi o di controllare dei sentimenti. Ciononostante, lui, il colibrì - Carrera, non si perde d'animo: accetta la propria sorte e va avanti.

Non un banale inno alla speranza, quindi; ma, piuttosto, una bella riflessione su come, in ogni vita, ci sia un tempo per tutto. Per essere felice, poi infelice e poi di nuovo felice. E così ancora.

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