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Il giorno del giudizio
 
Il giorno del giudizio 2021-08-14 18:03:18 anna rosa di giovanni
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anna rosa di giovanni Opinione inserita da anna rosa di giovanni    14 Agosto, 2021
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IL PICCOLO MONDO ANTICO DI S. SATTA

IL GIORNO DEL GIUDIZIO
di SALVATORE SATTA
pubbl. postumo nel 1977

INTRODUZIONE. S. Satta (1902-1975), “uno dei più grandi giuristi italiani”, come si legge in wikipedia, scrisse moltissime opere di procedura civile, ma evidentemente la sua sensibilità non si esauriva nelle opere di natura giuridica e trovava invece posto nelle pagine tra l’autobiografico e lo storico scoperte dopo la sua morte, tra cui quelle pubblicate col titolo “Il giorno del giudizio”.

CONTENUTO. Premesso che alla Parte prima segue un’ unica pagina della Parte seconda, l’autore racconta alla prima persona, entrando apertamente nella narrazione, la storia della famiglia del notaio di Nuoro Sebastiano Sanna Carboni e di sua moglie Donna Vincenza fino alla maggiore età del figlio minore nel primo dopoguerra, in nulla uniti se non dal vincolo matrimoniale e dal desiderio di assicurare un futuro ai loro sette figli, e cioè una laurea e beni al sole: terra, fondamentalmente. Con la loro storia si intreccia quella di tutto un mondo - la Sardegna della giovinezza dell’autore presumibilmente, “la selvaggia Barbagia” - che va scomparendo (e che nel 1973 era già soprattutto un fantasma del passato) non solo per la morte di coloro che in questo mondo vivevano e che lui rievoca con profonda comprensione e affetto, ma anche per i cambiamenti fatalmente portati dal tempo, presentati come contaminazioni che vengono dal “continente” e dall’amministrazione statale. Attraverso la narrazione delle vicende di singoli pastori, contadini, maestri, preti, avvocati nullafacenti e altri più o meno poveri rappresentanti di questo mondo, ma anche attraverso pagine bellissime dedicate al “mistero del vino” o alla cottura del pane, Satta fa rivivere una società ormai tutta seppellita nel cimitero di Nuoro dove l’io narrante (e tutto fa pensare che sia Satta stesso) si reca, tornato dal “continente”. Come si vede, si tratta soprattutto di un grande mosaico composto di tanti tasselli.

IL TITOLO. A p. 103, a conclusione del cap. VII, si legge: “Come in una di quelle assurde processioni del paradiso dantesco, sfilano in teorie interminabili (…) gli uomini della mia gente. Tutti si rivolgono a me, tutti vogliono deporre nelle mie mani il fardello della loro vita (…) E forse mentre penso la loro vita, perché scrivo la loro vita, mi sentono come un ridicolo dio, che li ha chiamati a raccolta nel giorno del giudizio, per liberarli in eterno dalla loro memoria”. Noto che ha scritto “paradiso” e suppongo perciò che tutti questi uomini e donne che furono vennero da Dio giudicati innocenti, per cui non riesco a spiegarmi l’idea del “fardello” e del “ridicolo dio” che dovrebbe “liberarli”. Un’idea simile, ma più comprensibile - mi sembra - si trova anche alla fine della prima e unica pagina della Parte seconda: “Per conoscersi bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale”. Perchè Satta abbia poi continuato dicendo quanto segue, non lo so: “È quello che ho fatto io in questi anni, che vorrei non aver fatto e continuerò a fare perché ormai non si tratta dell’altrui destino ma del mio”. Forse è qualcosa che si collega a questo passaggio: “Sono venuto qui [nel cimitero di Nuoro], tra un piroscafo e l’altro, per vedere se riesco a mettere un po’ d’ordine nella mia vita, a riunire i due monconi, a ristabilire il colloquio senza il quale queste pagine non possono continuare, ed eccomi vagare (…) in balia di vani ricordi” (p. 97-98). Chissà!

OPINIONE. Questo libro, nella forma in cui è stato pubblicato, cioè senza la prevista Parte seconda, è il più ottocentesco fra i libri del ‘900 che ho letto, non tanto perché racconta un mondo rurale ancora fortemente ancorato a usi e valori ormai antichi e non sostanzialmente diverso da quello narrato dalla Deledda (1871-1936), quanto per la visione nostalgica - nostalgica, benchè non propriamente idealizzante - con cui questo mondo viene rappresentato, una visione che si stenta a immaginare contemporanea di una cultura europea in cui già nel 1902 ha potuto vedere la luce per esempio “L’immoralista” di Gide, una visione peraltro non molto lontana, in fondo, da quella di un maestro della generazione precedente: Verga (1840-1922), anch’egli diffidente e pessimista nei confronti della modernità e dello Stato. Anche la lingua, molto colta e spesso impregnata di poesia mi sembra più vicina a quella di Carducci (1835-1907) o di Pascoli (1855-1912) che a quella di Pirandello (1867-1936), e talora presenta delle oscurità che forse sarebbero state corrette se l’autore avesse potuto ancora lavorare a quest’opera, ciò non toglie che ci sono molte bellissime pagine e che i ritratti sono spesso vividi. Concludendo, alla domanda che a p. 158 l’io narrante si pone: “È possibile che io perda il tempo (e sia pure questi miei tardi anni) a dare realtà a persone che realtà non hanno mai avuta neè potevano avere, che non possono interessare nessuno, perché la loro esistenza si riduce a un atto di nascita e un atto di morte?”, la risposta sicuramente è no, non è stata una perdita di tempo.

P.S. Ho colto in non poche pagine una certa affinità con la scrittura di Sebastiano Vassalli, che secondo me aveva letto quest’opera con fervore: non a caso anche nel Giorno del giudizio la parola “sogno” ricorre con una certa frequenza e soprattutto accomuna i due scrittori il sentimento del tempo, di Chronos che divora i suoi figli, e dello sguardo di un dio o di dei che guardano dall’alto verso il palcoscenico delle vicende umane. Cito questo passaggio: “Ma può darsi che la vita di un paese si svolga in un’unità di tempo e di luogo, come le antiche tragedie, e la successione degli eventi abbia la misteriosa fissità del cimitero. Vista da Dio, nel giorno del giudizio, credo che la vita appaia veramente così.” (p. 198)

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Deledda, Verga, Vassalli
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