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Giolina
 
Giolina 2010-02-13 10:49:29 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    13 Febbraio, 2010
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Com'era la civiltà contadina

E’ fuor di dubbio che l’ultimo romanzo di Valentino Rocchi, pubblicato alcuni giorni prima della sua scomparsa, segni, dopo la parentesi giallistica di Confrontarsi con Karolina, un ritorno a un mondo e a temi a lui particolarmente cari, già oggetto di precedenti narrazioni. La civiltà contadina, che fa da sfondo alla Magia del fuoco e che è invece teatro, palcoscenico di La saggezza di Toni, L’eredità di Venanzio, Gli uomini di Bluma, La Padrona di Santa Maria, sembra quasi riemergere dai ricordi per un ultimo saluto al suo autore.
Certo è che Rocchi è stato un profondo conoscitore della realtà rurale fra le due guerre e negli anni immediatamente successivi all’ultima, descrivendola in modo tale da costituire una visione storica di vita, usi, costumi e condizioni di quel periodo. Quindi, in aggiunta agli interessanti e importanti temi trattati, i suoi lavori finiscono con l’essere schemi archeologici di un’epoca e di una società che non esiste più.
Ha ragione Ferdinando Camon quando dice e scrive che la civiltà contadina è finita e perciò va dato merito all’autore padovano e a quello pesarese per averla riportata alla luce, per averla fatta conoscere a generazioni che ignoravano e che ignorano tuttora di come fosse il mondo delle campagne tanti anni fa.
Valentino Rocchi guarda a quella società, composta per lo più da miseri, con uno straordinario affetto, proprio di chi è giustamente convinto che il tempo delle stagioni, che regola la vita dei campi, sia l’unico per gli uomini, con quelle ore di lavoro che vanno dal sorgere del sole al suo tramonto, una metafora della vita che ogni giorno si rinnova.
Se ha un occhio pietoso per i casanti, cioè coloro che offrivano le loro braccia per brevi periodi o anche per alcune ore, ha un particolare riguardo per i mezzadri, illusi di avere le mani sulla terra che lavorano e sempre indebitati nei confronti dei padroni, che così li soggiogavano e li rendevano simili ai servi della gleba.
Da figlio di quella terra Rocchi non può evidentemente dimenticare l’indigenza di questi coltivatori, mai tale da farli morir di fame, ma al limite della sussistenza, con la certezza pressoché totale che nulla sarebbe potuto cambiare. Del resto i padroni erano per lo più esosi, prepotenti, alcuni pregni di stravizi, come nel caso di Pietro, giocatore incallito e galletto della zona, in cui è forte il senso della potenza al punto di violare le donne che non intendono cedere.
Quindi, anche l’aspetto femminile rientra in un quadro generale di soggezione, di cui è parte anche la padrona, Bianca, moglie di Pietro, una donna che nonostante l’epoca (siamo agli inizi del XX secolo) riuscirà a riemergere da quel fango di prepotenze, riservato al suo rango di “non maschio”.
Se il titolo del libro è Giolina e non è il soprannome di una femmina come invece si potrebbe pensare, la vera protagonista, attorniata da numerosi comprimari, alcuni dei quali quasi con la sua stessa evidenza, è proprio lei, Bianca, capace di reagire alla sua condizione imposta di essere inferiore e di dimostrare, con l’intelligenza e con quell’intuito che è proprio del gentil sesso, che il mondo può cambiare, che questo non deve essere solo dei maschi, ma che su questa nostra terra siamo tutti uguali al punto che identiche devono essere le opportunità.
Ne nasce un affresco corale di grande bellezza, dove i protagonisti, il paesaggio, gli animali, le storie hanno un nesso logico; non ci sono comparse nel senso stretto del termine, perché anche i volti anonimi di coloro che ascoltano la messa sono nell’insieme l’emblema di un ceto e qui si innesta un altro discorso caro all’autore, vale a dire quel senso innato di solidarietà, di riscatto sociale senza violenza, di rivendicazione della propria dignità che pagina dopo pagina emerge dalle righe divenendo palpabile e che dona all’opera un ampio anelito di libertà e di uguaglianza.
In questo contesto non si può non evidenziare come in Valentino Rocchi non alberghi mai l’odio, anche nei confronti dei personaggi più esecrabili, bensì sia diffuso e tangibile un autentico senso di pietà. Quindi siamo ben lontani da rivendicazioni di giustizia violente e foriere di scontri insanabili, perché tutto viene stemperato in un generale quadro di misericordia che porta, a piccoli passi, a una visione di speranza di un mondo in cui tutti abbiano la consapevolezza di essere egualmente indispensabili.
In Giolina ci sono pagine che portano alla commozione, mai pretesa, mai reclamata, nel pieno rispetto della personalità del lettore e s’accompagnano spesso allo sfondo di una natura ancora in sintonia con l’uomo, una natura amica perché di essa l’uomo ha rispetto.
Mentre leggevo, scorrevano nella mia mente tutti i personaggi, immaginati a modo mio, come appunto voleva Rocchi, non imponendo, ma proponendo.
Giolina è l’ultimo canto a una civiltà scomparsa, sostituita dalla freddezza delle macchine, da un’attività divenuta quasi industriale, spersonalizzante, non più secondo gli atavici ritmi della natura.
Bianca, il burbero ma buon Simone, la sfortunata Sabina vi resteranno nella memoria, perché vi accorgerete di averli accanto a voi.
Quanto a Giolina, questo personaggio è quasi una metafora, il passaggio da un mondo all’altro, senza che sia cosciente di quel che è, da dove viene e dove va.
Nei primi rilievi dietro a Pesaro, alla Badia, ove è ambientato il romanzo, voglio sperare che fra quei personaggi inventati, magari su delle piccole basi concrete, ombre ideate dalla fantasia, aleggi lo spirito di Valentino, riunito per sempre alle sue creature.
La lettura è senz’altro più che raccomandata.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
La magia del fuoco, di Valentino Rocchi;
La saggezza di Toni, di Valentino Rocchi;
L'eredità di Venanzio, di Valentino Rocchi;
Gli uomini di Bluma, di Valentino Rocchi;
La padrona di Santa Maria, di Valentino Rocchi;
La vita eterna, di Ferdinando Camon;
Un altare per la madre, di Ferdinando Camon
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