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Cuba particular. Sesso all'Avana
 
Cuba particular. Sesso all'Avana 2007-08-23 17:51:29 Renzo Montagnoli
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Opinione inserita da Renzo Montagnoli    23 Agosto, 2007

Una Cuba reale

Di Alejandro Torreguitart Ruiz, giovane autore cubano, avevo già letto il racconto lungo La marina del mio passato, che mi aveva impressionato favorevolmente per la capacità di creare un’atmosfera di malinconica esistenza con un esplicita riaffermazione della libertà individuale contro ogni imposizione del regime.

Là era una narrazione dove l’elemento centrale era un vecchio rassegnato che trovava rifugio solo nel suo mare, con pagine finali di intensa commozione e di un lirismo che forse per questo l’ha fatto accostare al ben più noto Il vecchio e il mare di Hemingway.

Con Cuba Particular Ruiz cambia completamente registro, fornendoci una cronaca nuda e cruda della realtà del suo paese, una sorta di verismo che non può lasciare indifferente il lettore.

Le case particular, a Cuba, sono quelle autorizzate dal governo a ospitare turisti stranieri e quella di Isabel, ex comunista che ha perso ogni fiducia in ciò che credeva, è ancora più particular, perché la vecchia villa di calle veintitrés è una sorta di alcova, dove vanno e vengono personaggi di varia natura, ma tutti legati da un unico scopo: fare sesso.

C’è così un ampio campionario di turisti, ben delineati nelle loro caratteristiche, che si alternano a occupare le stanze della casa.

L’occhio di Torreguitart ce li descrive anche impietosamente, nella loro veste di colonizzatori del sesso, ma non c’è mai disprezzo e solo fra le righe si può intuire un certo sdegno per chi in fondo non è capace di amare.

Su un livello diverso si trovano le occasionali, o anche fisse, compagne di questi uomini; sono ragazze cubane costrette dalla necessità a vendersi, con la speranza per qualcuna di arrivare anche a sposarsi, per lasciare quel mondo di giorni sempre uguali, dove incontrastata domina la rassegnazione.

Come nelle telenovela nascono rapporti, sbocciano speranze, crescono illusioni, crollano certezze, e poi tutto ricomincia, in un’atmosfera in cui i sentimenti veri, quando ci sono, vengono impietosamente mortificati da paure per il passo che si vuol compiere, da quel desiderio inconscio di preferire il pressoché certo niente a un futuro forse migliore, ma più spesso brumoso.

Isabel, la proprietaria, osserva, consiglia, organizza come una regista e finisce con il diventare il fulcro di tutto il romanzo, la voce fuori campo che commenta.

Sua è la frase “Questo ha prodotto la rivoluzione. Ai tempi di Batista Cuba era il casino degli americani. Adesso è il casino del mondo.”, suoi sono certi atteggiamenti e giudizi come il fatto che solo lei possa criticare il regime, perché presente e perché ha creduto a una rivoluzione che nel tempo si è tramutata in una dittatura da caudillo sudamericano.

Torreguitart ha un occhio di riguardo per questa donna che ha vissuto gli anni pieni di speranza del regime castrista e che ora si limita a gestire la casa particular, per sopravvivere, anche se lei, a differenza delle ragazze che la frequentano, nate dopo, può contare sul ricordo di un ideale, pur se tradito, e questo le permette di vivere, in uno con l’amore, non interessato, per il suo compagno Paco.

Per chi è venuto al mondo nel periodo speciale, quello della ristrettezza economica, non c’è memoria di un passato, ogni giorno si apre solo con la certezza che nulla cambierà e che se si vuol sopravvivere bisogna gettare in fondo al pozzo la propria dignità di essere umano.

In fin dei conti, il romanzo di Torreguitart, pur nel suo drammatico realismo, finisce con il diventare un omaggio alla rivoluzione cubana, ai suoi ideali, che nel tempo un regime dispotico, lontano dai suoi stessi cittadini, ha per primo tradito.



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