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La città della fortuna
 
La città della fortuna 2010-11-24 20:54:55 Jan
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Jan Opinione inserita da Jan    24 Novembre, 2010
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Elie Wiesel, il silenzio ha gli occhi tristi.

Be', sì : nascere ebrei in Transilvania nel 1928 non prometteva molto bene. Soprattutto se non si aveva un nome ungherese...né romeno.
Se tu fermi un romeno di Bucarest e gli dici:"Wiesel", lui ti risponde prontamente che è un cognome assolutamente estraneo alla sua terra; di converso, se chiedi ad un ungherese la stessa informazione avrai la medesima risposta.
Elie Wiesel, la "salamandra". L'uomo che è passato per il deserto della ragione di Auschwitz senza rimanerne schiavo. Ci ha perso tutto, ovviamente, e te lo racconta nei suoi libri...dolorosamente lirici.
Ma libri di grande forza, preziosi come dalle pagine grondassero oro.
Elie Wiesel è stato tradotto prima in Jugoslavia che in Italia.
Poi una editrice attenta come La Giuntina, segnatamente per mano del vecchio "genio" Daniel Vogelmann, l'ha traslato anche nella lingua italiana.
E' un uomo difficile, Wiesel, saggio per vocazione, buono per motivi d'età.
Il suo volto è un percorso di strade scavate di rughe :quella più lunga si snoda alla fronte.
L'ho ascoltato parlare, sempre in Francia, solo due volte.
Così mi sono reso conto che in fondo il libro più bello che ho letto in tutta la mia vita è "La città della fortuna", La ville de la chance.
E l'ha scritto quel vecchio signore che dietro agli occhi scuri e tristi nasconde il segreto dei poveri: il ricordo dell'indicibile.
Ha mani stanche, Elie Wiesel, quasi avesse smesso di sperare, un giorno, di volare.
Proprio lui che, nella nebbia dei suoi sogni chassidici, mi ha condotto per mano ricordando com'era bello il suo paese prima che il mondo divenisse un camposanto.
Pensare alla redazione del Forward del dopoguerra mette i brividi : Singer redattore capo, Potok vice, Wiesel aggiunto.
Un giornale così, forse, si poteva scrivere da solo :"Due Nobel e mezzo", sostiene sempre Wiesel...che reputa il suo Nobel per la Pace inferiore a quello per la Letteratura degli altri due compagni di viaggio.
E io rammento quel silenzio e quello sguardo, la fiamma di genio che le pagine dei suoi libri mi trasmettono tutte le volte che ripeto l'antico gesto: sfogliarle per la centesima volta.
Tutta l'opera di Wiesel è una grande seduta analitica.

Non avvertitemi, prego, quando terminerà.

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