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Canada
 
Canada 2013-04-18 16:04:13 Maso
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Maso Opinione inserita da Maso    18 Aprile, 2013
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Vivere, nonostante tutto

Quando ho iniziato a leggere “Canada” non sapevo esattamente cosa vi avrei trovato. Non conoscevo l’autore, se non di fama, e non ero sufficientemente informato sul suo conto da sapere di trovarmi al cospetto di un Premio Pulitzer, che ha visto entrare uno dei propri romanzi nella classifica dei cento migliori libri in lingua inglese scritti dai primi del Novecento. Benché non abbia la pretesa di potermi formare un’opinione valida su un autore dopo aver letto solo una delle sue tante fatiche, devo ammettere che prima di venire a conoscenza dei trascorsi così sfolgoranti del signor Ford non avrei mai sospettato tanti e importanti riconoscimenti. Probabilmente leggendo “Canada” non ho letto il suo meglio, quello che lo ha incoronato come appartenente ai massimi esponenti della letteratura statunitense novecentesca. Mi riprometto quindi di approfondire per capire meglio di quali virtù letterarie il pubblico e la critica si siano così pazzamente infatuate. Per il momento, analizzando brevemente l’ultimo lavoro di questo autore, mi limito a considerare ciò che ho notato, ricevuto e interiorizzato senza avere la possibilità di fare confronti con altre sue opere e con il quadro completo della sua poetica. “Canada”, per quanto mi riguarda, è il classico romanzo d’oltreoceano che ci racconta una contemporaneità tangibile e ormai trascorsa, un contesto temporale, quello degli anni ’60, vissuto e rievocato con un buon gusto che non prevede esagerate pretese di caratterizzazione e veli nostalgici troppo mielosi. Nessuna malinconia inutile e manieristica tenta di compromettere il sicuro andamento narrativo, che fluisce con una trama essenziale raccontata da voce adulta innestata su corpo di ragazzino, il quale rivive per noi nei ricordi (immaginari) dell’autore. E questo ragazzino è Dell, quindicenne, legato e slegato alla sua volubile gemella dizigotica Berner, ed insieme figli di una coppia di genitori caratterialmente male assortita. Bev, ex capitano dell’aeronautica militare statunitense, convinto, malgrado l’abbreviazione, che Beverly sia un nome maschile, persona allegra e distinta, fondamentalmente molto confusa sulla gestione più concreta della propria vita. La controparte è Neeva, ebrea, figlia di una conservatrice famiglia di immigrati, ripudiata per aver sposato Bev in un momento di assente lucidità. Persona eclettica, creativa, incisiva, schietta e dall’aspetto stravagante. Una coppia di genitori dai rapporti apparentemente normali che celano immensi canyon di incomprensione, incomunicabilità sentimentale, divergenze esistenziali. Una famiglia periodicamente sradicata a causa dei trasferimenti professionali di Bev, senza un’identità propria riconducibile ad un luogo da chiamare “casa”. Lavori inconsistenti e vacillanti che solo a tratti portano uno stipendio sicuro. Una somma di ragioni che logorano, una situazione che goccia dopo goccia scava silenziosamente la patina rocciosa della sopportazione. Un insieme di problematiche sommerse che porteranno la coppia di genitori a compiere un passo definitivo, che porrà irrimediabilmente fine a qualsiasi futuro “normale” potesse avere in potenza questo nucleo famigliare dalle complesse interazioni. I genitori, spinti dal bisogno di denaro, compiono una rapina in banca e vengono arrestati dopo pochi giorni, lasciando così allo sbando la coppia di figli quindicenni, che si separano e intraprendono ignote e differenti strade di vita. Il lettore segue Dell, che viene indirizzato verso il Canada dove verrà ospitato a Fort Royal, una sperduta e deprimente cittadina periferica del Saskatchewan. E’ da questo momento che, venendo gradualmente a contatto con il suo sedicente benefattore, Arthur Remlinger, la vita di questo giovane protagonista passerà dal vivere nello squallore alla definitiva discesa in una spirale di comportamenti violenti di cui sarà, suo malgrado, spettatore. Una violenza sorda, mascherata, cautamente annidata nelle multiple e volubili personalità di questo Remlinger dal carattere schivo e circospetto. In un’attrazione/repulsione questi due personaggi così distanti dialogano in un reciproco interesse fino al raggiungimento del secondo punto di non ritorno della vita di Dell, secondo climax della storia. Storia con un epilogo piacevole e ben gestito, attuale e verosimile, ancora una volta senza pesanti risvolti tragici, con un distacco sempre e comunque sufficiente a tenere alta l’attenzione del lettore. Quella raccontata da Richard Ford, nella mia personale lettura, è una storia che riguarda due tematiche principali, quella dell’egoismo e quella dell’intraprendenza, o, se vogliamo, della forza d’animo. L’egoismo, quello degli incoscienti genitori incapaci di gestire i propri sentimenti, i propri affetti, la propria vita, che in nome di una boccata d’aria fresca, come quella portata dall’anticonformismo e dall’anarchismo, in nome di una scarica di adrenalina che li faccia uscire da una quotidianità asfissiante, minano la giovane esistenza di due ragazzi bisognosi solo di radici e di educazione. Proprio quei ragazzi che, in un modo o nell’altro, dovranno tirare fuori quella forza d’animo che permetterà loro di vivere la propria vita nonostante tutto, cercando di trarre il massimo del bene possibile in qualsiasi cosa capiti sulla loro strada. Ragazzi che cresceranno, che condurranno vite certamente non perfette, magari insoddisfacenti, ma con la consapevolezza di aver tratto un importante insegnamento, quello del non perdersi d’animo, quello di prendere le cose per come sono, così, alla luce del sole. Una buona lezione questa, espressa con delicato, poetico vigore dalla penna di un autore che merita di essere ascoltato e che sicuramente ricomparirà tra le mie prossime letture, con il caloroso augurio che avvenga anche per voi.

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Commenti

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Ottima recensione, Richard Ford è un grandissimo romanziere. Il giorno dell'indipendenza una lettura imperdibile.
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