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Niente di nuovo sul fronte occidentale
 
Niente di nuovo sul fronte occidentale 2013-04-18 16:19:29 Zine
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Zine Opinione inserita da Zine    18 Aprile, 2013
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Per non dimenticare

Fronte occidentale, Prima Guerra Mondiale.
Il soldato diciannovenne Paul Bäumer racconta i suoi giorni al fronte insieme ai propri camerati, in parte ex compagni di scuola: il pratico Tjaden, il trovatutto Kat, l’amico Albert... Attraverso i loro occhi, ci viene mostrato un mondo in cui i valori e gli aspetti fondanti dell’essere umano si sovvertono, una condanna a morte che pende su tutti coloro che stanno sui due fronti del confine belligerante, attendendo solo di afferrarli.
Paul ci mostra il cameratismo tra soldati, cementato dalle esperienze comuni e dalla necessità di mantenere dei rapporti umani, continuamente reciso dalla morte, da ferite orribili che segneranno per sempre coloro che vengono allontanati dai combattimenti. La vita diventa un lusso che non ci si può più permettere, che si muoia o che si continui a vivere, portando con sé orrori di cui non si riuscirà mai a parlare, per cui non esistono parole adatte.
E perché? Per cosa? Il meccanismo della guerra prende tutti nell’ingranaggio e uscirne non è una prospettiva meno terribile dell’esserne schiacciato. Resta solo da capire chi riuscirà a vedere la fine di questa follia, sempre ammesso che qualcuno ci arrivi vivo.
Erich Maria Remarque pubblicò “Niente di nuovo sul fronte occidentale” nel 1929, dopo essere sopravvissuto ai combattimenti della Prima Guerra Mondiale (Paul è il suo vero secondo nome ed è palese fin dalle prime righe che il protagonista del romanzo racconta ciò che per l’autore è stata vita vissuta). Caratterizzato da uno stile crudo ma sincero, pieno di umanità, Remarque ha il pregio di aver raccontato la verità della vita del soldato tedesco nonostante la propaganda nazionalista, culminata con il rogo delle sue opere durante il regime nazista.
Un tema portante del romanzo è l’assurdità della guerra. Un soldato viene mandato al fronte per servire il proprio Paese, schierato contro il nemico straniero da sconfiggere. Fin qui, ordini e retorica. Quando, però, la guerra la si vive sulla pelle giorno per giorno, le parole cessano di avere una funzione pratica e pensieri scomodi si fanno largo, che lo si voglia o no, e chiedono di essere- pur confusamente- espressi.
Cosa significa “servire lo Stato”? Che differenza c’è tra il concetto di patria e quello di governo, che in fondo è formato da poche persone le quali reggono il destino di milioni di connazionali? Chi è il nemico straniero? E’ una specie di mostro da sconfiggere, un semplice bersaglio per il tiro a segno? Cosa accade nella mente di un soldato quando le circostanze lo portano a rendersi conto che il nemico ucciso è niente più che un uomo come lui, che a casa ha lasciato dei genitori, una famiglia, un lavoro e dei sogni?
Simili pensieri possono fare impazzire. Fanno odiare il momento in cui ci si è presentati per l’arruolamento, l’aver creduto alle parole di coloro che avrebbero dovuto prepararti alla vita adulta (insegnanti, genitori, politici) e ora sono a casa, a leggere gli orrori sui giornali lodando il coraggio di chi si gioca la pelle ogni minuto o criticando la loro vigliaccheria se non raggiungono gli obiettivi preposti.
Questo apre anche al conflitto generazionale, i giovani pronti a gettarsi a braccia aperte nel futuro che si vedono condannati al massacro per una guerra decisa dai padri e dai nonni, che non vedranno mai il fronte e continueranno a parlare della battaglia con fascinoso interesse o stagnante retorica belligerante. E’ la perdita delle illusioni, la definitiva morte di ogni sogno. Conta solo il presente, vivere un giorno ancora, mangiare quando e quanto puoi. I soli compagni sono i soldati della tua compagnia, che vedi morirti attorno senza poterci fare niente. Per non impazzire, tocca ricorrere a un umorismo macabro, a un annichilimento della sensibilità che può venire messo a dura prova in qualsiasi momento da un attacco di terrore oppure da qualche giorno di licenza, che spalanca una finestra su tutto ciò che non si possiede più né si riesce a sperare di tornare ad ottenere.
L’autore riesce a trattare argomenti spinosi, domande esistenziali di devastante profondità, con incredibile delicatezza. I protagonisti non si lasciano mai andare a concioni, non propinano al lettore il loro punto di vista belligerante oppure pacifista o, ancora, rivoluzionario nei confronti del regime corrente. Remarque ci offre molto più semplicemente per bocca loro tutta la confusa e triste consapevolezza dell’ingiustizia della condizione di questi ragazzi, mandati a morire quando ancora non avevano potuto imparare cosa significava vivere.
Questa è una lettura di cui non si dovrebbe fare a meno.

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Commenti

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Dall'adolescenza in poi questo libro ha fatto parte della mia vita:l'ho letto più volte e mi è capitato spesso di farvi riferimento, conversando, in relazione alla guerra e ai rapporti umani. Indimenticabile! È bella la tua rece :)
Già, lo straniero visto come il nemico. Mi viene in mente la famosa canzone "Il Piave mormorava", decisamente superata, si spera.
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Zine
19 Aprile, 2013
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Anche io l'ho letto per la prima volta a 13 anni e, in un certo modo, mi ha segnata. Pensa che poi ho lavorato in un Museo dedicato alla Grande Guerra...Grazie!
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Zine
19 Aprile, 2013
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Questo è uno di quei romanzi che aiuta a non dimenticare per evitare di ricadere in certe ideologie terrificanti, non trovi? Peccato che la sua diffusione sia piuttosto scarsa...
In risposta ad un precedente commento
Cristina72
20 Aprile, 2013
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Sì, ma il titolo è abbastanza famoso e comunque non è fuori catalogo. E' già tanto.
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