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L'urlo e il furore
 
L'urlo e il furore 2013-04-26 12:11:08 Maso
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Maso Opinione inserita da Maso    26 Aprile, 2013
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Menti di tenebra

Neanche a farlo apposta, si continua con quella che sta diventando una personalissima serie letteraria, un viaggio nelle eccellenze indiscusse (carte alla mano) della letteratura moderna. Prima il Pulitzer di Ford, poi il Nobel di Faulkner. Contrariamente alla rilevanza che sembra io attribuisca eccessivamente a questi riconoscimenti, di fatto meritati ma non unici nell’insieme delle discriminanti, preciso la casualità dell’accadimento. Non si tratta di snobismo, né di ristretta selezione critica delle mie letture, è stato il caso a presentarmi insieme queste due opere e ne sono rimasto estremamente soddisfatto e in parte stupito. Stupito soprattutto per una lezione che ho definitivamente assimilato e che esula, in questo caso, dal libro in questione. Una lezione che mi ha mostrato l’importanza cruciale di attribuire alle altrui opinioni un’importanza assolutamente relativa, che deve condizionare in modo minimo le nostre intenzioni. Se è vero infatti che tutte le opinioni sono fondate su un’alta percentuale di soggettività di giudizio, è vero anche che è inevitabile lasciarsi condizionare anche in minima parte da giudizi perentori sia in positivo che in negativo. Quando cerchiamo dei pareri a proposito di un’esperienza che abbiamo intenzione di fare, che sia un viaggio, la visione di un film, la lettura di un libro e quant’altro, lo facciamo perché necessitiamo di un piccolo faro che ci indirizzi nella giusta direzione, evitandoci delusioni o spingendoci verso sicure soddisfazioni. Tutto ciò è lecito e rientra nella più assoluta normalità di comportamento. Quello che ho imparato, però, è che anche trovandosi di fronte a giudizi negativi e pareri che tentano di farci desistere, nulla è più importante di un pizzico di testardaggine (e non di cieca cocciutaggine, che è differente) che ci permetta comunque di insistere in un proposito preposto.

Nel caso specifico, mi era stato detto che “L’urlo e il furore” è un libro molto complesso, di difficile comprensione, non adatto a tutti i lettori. Tirate le somme, mi congratulo con me medesimo per non essermi fidato di nessuno, poiché se l’avessi fatto ora mancherebbe al mio mosaico una delle tessere più sfavillanti. Entrando nel merito, il fatto che sia un romanzo complesso è più che assodato. Si tratta di una complessità dovuta principalmente alla modalità della narrazione, tutt’altro che insolita, in verità, dato il seguito eccelso e numeroso di scrittori moderni e contemporanei che si sono serviti dello stream of consciousness per raccontare se stessi, gli altri e il mondo. Questo flusso di coscienza è una delle caratteristiche portanti del romanzo, quella che salta più all’occhio e quella che ci permette di immedesimarci con incredibile enfasi, pathos e partecipazione negli animi dei tre personaggi che ci raccontano questa storia. Una storia di disperazione, di decadimento morale, di bassezze turpi e crude. La storia di una famiglia che, nello scenario degli States sudisti di inizio secolo, vede i propri componenti in una luce impietosa, capace di illuminare senza pietà i sentimenti più grotteschi dell’essere umano, del suo approcciarsi a realtà difficili come quella del ritardo mentale, della scelleratezza, dell’incesto, dell’avvicendarsi di rapporti familiari malati e gestiti con noncurante indifferenza. E’ un’analisi estremamente difficile da compiere quella che andrebbe fatta per questo romanzo di Faulkner, difficile perché la sensazione di amarezza, di disagio profondo che queste pagine sanno infondere è inesprimibile in maniera esauriente con parole comuni. Forse è proprio vero che non ci sono termini esattamente per tutto, questo mi sembra uno di quei casi limite. E forse è proprio questo il grande punto di forza di questo stile narrativo, quello di saper reinterpretare e far rivivere le sensazioni e i pensieri delle persone in un modo che colpisce il lato sensibile del lettore piuttosto che quello intellettuale. La frammentazione del testo imita i ricordi di Quentin, che vengono a galla come spesso succede realmente nella nostra mente, dove le connessioni di pensieri e ricordi sommersi dal tempo avvengono in maniera quasi del tutto casuale, magari per una sola piccola sensazione che ci riporta ad un esatto momento della nostra vita trascorsa. Questa frammentazione imita verosimilmente ciò che sembra accadere in noi e, inoltre, nel personaggio di Benjy (fratello di Quentin) e nel difficoltoso accesso alla sua mente confusa, dovuta ad una imprecisata malattia mentale, tenta di portarci ad una condizione di disagio psicologico e comportamentale non nostra. Ci fa vedere con occhi non razionali una realtà di vita sconvolgente, commovente e tremendamente incompresa. Ci mostra, infine, nella rigida mente di Jason (altro fratello) la contrapposizione dell’irrazionalità, la nemesi di quel flusso sensoriale, in un comportamento rigoroso e crudele verso una vita rovinata da un futuro franato su se stesso, rovinata da una famiglia che gli ha chiesto di sacrificarsi per poter continuare a vivere, seppure in condizioni di tensione continua. Tutto questo poutpourri di emozioni contrastanti e intime si staglia sullo sfondo altrettanto complicato della schiavitù e dell’asservimento razziale, in una quotidiana coesistenza di disprezzo e paradossale necessità, dove i cosiddetti “negri” si rivelano indispensabili per l’andamento più spicciolo della vita giornaliera e vengono al contempo discriminati e schiavizzati. Per chi, come me, è alle prime armi rispetto a questo genere di impostazione narrativa, con una conoscenza dell’opera joyceiana a livello, aimè, scolastico, credo che sia un’ottima partenza, utile per comprendere quanto e come il flusso di coscienza entri nelle nostre corde. In definitiva, con un romanzo di tale levatura, credo sia appropriato e quasi necessario uno scambio di opinioni, un confronto utile ad investigare il differente e soggettivo bagaglio di sensazioni e spunti, che, sebbene incastonati all’interno di un contenitore di profonda tenebra, risplendono inequivocabilmente per illuminare le nostre coscienze.

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Commenti

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recensione molto sentita,accurata e carezzevole
complimenti Francesco!
non conosco ancora questo autore, ma la tua analisi mi sembra più che esaustiva!
Bellissima recensione, sai è stato detto lo stesso anche a me.Purtroppo io li ho ascoltati....ma ora vado e lo leggerò!Grazie!
In risposta ad un precedente commento
Maso
27 Aprile, 2013
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Ecco vedi?! "La maldicenza insiste..." diceva il buon Faber, ma non diamogli ascolto e tiriamo dritto! Leggilo e poi mi dirai!
(Non nascondo che certe parti si fa fatica a mandarle giù, ma con dedizione e pazienza il risultato è assicurato)
Accidenti mi era sfuggita la tua recensione, davvero bella e attenta. Io a differenza tua lo avevo iniziato troppo presto e prima de L'ulisse e non riuscì a comprenderlo per nulla, poi dopo il buon vecchio Joyce mi è apparso davvero di lettura più fluida, anche se molto complesso. Una cusiosità: il personaggio che ti ha colpito di più mi par di capire che sia stato Quentin; perchè?
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