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Il quinto figlio
 
Il quinto figlio 2013-09-12 16:58:13 Angela E81
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4.0
Stile 
 
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Contenuto 
 
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3.0
Angela E81 Opinione inserita da Angela E81    12 Settembre, 2013
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Un pezzo di preistoria in era moderna

Il libro di Doris Lessing, Il quinto figlio, viaggia attraverso una netta dualità di atmosfera. All’inizio, la vicenda neo-romantica di David ed Harriet, sembra quasi scritta in uno stile faceto, ottimo accompagnamento per tè e pasticcini. Il clima è disteso, idilliaco. Il sogno di una casa enorme piena di bambini prende forma,quattro figli arrivano a breve distanza l’uno dall’altro, la famiglia allargata, sempre unita e numerosa, sembra un’oasi fin troppo spensierata.
Ed ecco Ben, il quinto figlio, che già durante la gravidanza si preannuncia diverso, violento, aggressivo, quasi come un virus malefico che avvelena il grembo che gli sta dando la vita. Ed ecco anche il brusco cambiamento di atmosfera del libro, che piomba in una tetraggine inquietante e sottile.
Il bambino, nascendo, rivelerà fattezze elfiche, anzi, neandertaliane; una forza e un appetito sovrumani, oltre a una preoccupante inclinazione alla violenza. Prende corpo nella mente dei genitori l’idea che possa essere non solo uno scherzo dei loro geni, ma una vera e propria creatura di un remoto passato, sfuggita a secoli di evoluzione e trapiantatasi nell’era moderna.
Il sogno della famiglia numerosa e felice è distrutto, i quattro precedenti bambini si costituiscono in una corporazione impenetrabile che li porterà ad allontanarsi il prima possibile dalla casa dei genitori, lontani dall’intruso, dall’alieno, dal diverso. Harriet, la madre, è lacerata da un senso di colpa inestinguibile, sia per non riuscire ad amare quel figlio inspiegabile e anaffettivo, sia per averlo messo al mondo; colpa questa, che tacitamente tutti sembrano attribuirle, così come quella di essere l’unica che, interessandosi delle sorti del figlio “diverso”, causa lo sfilacciamento progressivo della famiglia e dell’intesa coniugale.
Ben non è cattivo, pur nella sua violenza. È una forma di vita semplice, senza le sovrastrutture dell’evoluzione. Intorno a lui e ad Harriet, che pure non riesce ad amarlo fino in fondo, la terra diventa bruciata. La famiglia, persino il padre, David, tutti prendono le distanze, medici ed insegnanti rifiutano di pronunciarsi, lasciando Harriet sempre più sola e sgomenta; la posizione netta di chi crede di essere nel giusto solo perché è nato “normale” e bene inserito in un contesto sociale, diventa sempre più aspra, sempre meno disposta alla comprensione. Durante la lettura, ci si trova a provare sentimenti contrapposti nei confronti dei protagonisti: essi destano talvolta pena, talvolta biasimo. L’autrice non concede sconti a nessuno, e rappresenta le persone con in tutto il realismo necessari in una simile storia, anche quando si sfiora la crudeltà.
Non è un caso se Ben diventa ben accetto e addirittura leader presso le fasce più abiette della società, quelle più simili a forme di branco, di clan; lì, la natura primitiva del bambino fattosi ragazzo trova il suo habitat naturale, la sua spontanea inclinazione alla violenza è la caratteristica che lo porterà a primeggiare tra gli ultimi.
Eppure la società, fatta di nonni, fratelli, zii e cugini che circonda Ben e sua madre Harriet, non è molto diversa, per logica, da un clan primitivo; la consapevole volontà di emarginare, di escludere, di abbandonare il diverso al suo destino, di allontanare la mela marcia dal cesto, non è forse dettata da un atavico istinto alla sopravvivenza? Non è un’allontanarsi dall’ideale manifesto di famiglia unita e felice, in favore di un individualismo autoconservativo?
L’autrice ha portato avanti un’idea di fondo relativamente semplice, quella di considerare la diversità delle persone a seconda dei contesti, e ci è riuscita, alimentando nell’animo del lettore ulteriori interrogativi, tutti molto pesanti e impossibili da ignorare.
Sconsiglio la lettura a donne in attesa o che stanno pianificando arrivo di altri bambini, perché la vicenda potrebbe turbare gli animi sensibili.

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Commenti

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L'atavico istinto alla sopravvivenza è un diritto sacrosanto se serve a proteggere se stessi da persone anaffettive e violente, anche se si tratta di parenti o amici. Bel commento.
In risposta ad un precedente commento
Angela E81
13 Settembre, 2013
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Grazie :)
Recensione analitica e profonda . erazie!
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