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Un marito all'ora del tè
 
Un marito all'ora del tè 2013-10-13 08:04:10 Pupottina
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Pupottina Opinione inserita da Pupottina    13 Ottobre, 2013
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Amore e guerra, bevendo tè e mangiando baklava

Un romanzo fantastico per riscoprire come gestire, con simpatica tenerezza, gli alterchi e le differenti aspettative nel rapporto madre-figlia, ma anche un modo per conoscere lo stile intensamente magico ed umoristico con il quale la scrittrice iraniana, Marjan Kamali, ci parla del suo Paese e di come i migranti, sfuggiti al governo rivoluzionario di Saddam, continuano a vivere nel resto del mondo. In particolare, il romanzo approfondisce il tema “caldo” dei rapporti USA-Iran.
Le protagoniste sono due.
Mina è una ragazza di 25 anni, nata a Teheran e vissuta, negli ultimi 15, a New York, di cui ha imparato tutto, ma che non sente completamente sua.
Darya è la madre laica e progressista di Mina che in America ha portato con sé tutto l’amore per le tradizioni e la cultura del suo Paese, nel quale spera di ritornare.
L’America è stata per entrambe, Darya e Mina, un rifugio sicuro, come per il resto della loro famiglia: il marito Parviz, e i due, rispettivamente, figli e fratelli maggiori. L’America ha dato loro la possibilità di vivere liberamente, senza restrizioni o limiti. Ha dato autonomia lavorativa, con ottime possibilità, e libertà di espressione e opinione, senza una vita di continui pericoli o privazioni.
Il titolo “Un marito all’ora del tè” è simpaticissimo e riguarda l’ardire di Darya nel voler rispettare un’antica usanza iraniana, quella del matrimonio combinato, per offrire alla figlia, in dono, un marito, così come, a suo tempo, sua madre lo aveva organizzato, o meglio “incoraggiato”, per lei. Ma Mina è diventata una ragazza occidentale e trova terribilmente imbarazzante e inutile la cerimonia del tè, durante la quale incontrare, di volta in volta, il candidato aspirante marito, selezionato con cura da sua madre.
Il romanzo è datato 1996 e si compone di tre parti. La seconda, però, narra il passato, il 1978 a Teheran e l’infanzia di Mina che descrive, con gli occhi di lei bambina, com’è cambiata la vita lì, nel periodo in cui è arrivato Saddam, e come ci si è dovuti abituare al regime e all’orrore dei bombardamenti e alla progressiva perdita della libertà, fino ad essere costretti alla fuga.
Un marito all’ora del tè è anche un romanzo che parla di religione (“è una stampella per i deboli. È una via di fuga. Un’illusione. Un mezzo per farsi manipolare”) e di politica (“Il pendolo oscilla. Da un estremo all’altro. Gli uomini esprimono sempre le loro idee attraverso le donne”).
È un romanzo con il quale ridere e piangere, che, con lo stile della commedia romantica, descrive la cultura, i colori, i profumi e la realtà dello spaesamento vissuto dai migranti, costretti ad abbandonare la loro Patria per adattarsi a vivere altrove. L’integrazione è sempre difficile e, nonostante l’apparente inserimento, manca sempre quel qualcosa che si acquisisce dalla nascita, quel senso di “sentirsi come a casa”.
Darya non ha il coraggio di dire al marito che vorrebbe rivedere la sua casa e i parenti lasciati a Teheran, mentre Mina ha bisogno di quel viaggio per riscoprire le sue radici e compiere quella che sarà la scelta più importante della sua vita.

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