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Patrimonio. Una storia vera
 
Patrimonio. Una storia vera 2013-12-08 04:28:16 diogneto
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
diogneto Opinione inserita da diogneto    08 Dicembre, 2013
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un viaggio nel dolore

contiene spoiler!

Leggere questo libro, Patrimonio di Philip Roth -1991 [tradotto in italiano nel 2007 ed edito da Einaudi] è come fare un viaggio in un pianeta sconosciuto ai più ma che, per forza e per amore, tutti, una volta nella vita, devono visitare.

Il rapporto padre figlio viene qui letto e sviscerato nella reale condizione di Philip il quale si trova a dover affrontare la malattia di suo padre Hermann che, oramai 86enne ma in piena forma, deve combattere contro un nemico invincibile: un tumore al cervello!

Il racconto si nutre dei flash back che portano, l’io narrante Philip, a ripercorrere buona parte della vita famigliare sottolineando con vigore sia l’ascesa del padre, che da migrante ebreo riuscì a ritagliarsi una fetta di “sogno americano” diventando un pezzo grosso in una compagnia di assicurazioni, sia le radici ebraiche della famiglia! Anche se, in quest’ultimo caso, queste sono vissute più come radici culturali che cultuali.

Il viaggio che facciamo con Philip è duro e concreto, non si perde in sofismi, psicologie o flosofie! Parte dalla radice e torna alla radice senza lasciare spazi vuoti da colmare se non quello di una assenza alla quale, nella vita, tutti siamo sottoposti.

Il finale lascia con l’amaro in bocca ripresentando, il rapporto padre figlio, nella sua peculiarità più “famigerata” quella dell’eterno giudizio-confronto… il fatto di essere sempre sottoposti al giudizio del padre, infatti, lascia Philip concludere questo romanzo autobiografico con l’apparizione onirica del defunto padre che lo accusa di averlo seppellito con il vestito sbagliato [l'ultimo dubbio di Philip era se vestirlo o avvolgerlo in un sudario, secondo la tradizione ebraica, (non vi svelo la scelta dello scrittore lasciandovi la suspense)].

Questa visione, che non mi appartiene, penso sia frutto della generazione che ci precede e che, nella figura del padre, vedeva un “giudice” e dove i ruoli da vivere, e da interpretare, erano stretti e scritti su copioni di secoli.

Vi lascio, ora, proprio con il finale nella speranza che le sensazioni di questo libro possano essere lette e condivise nella sua parte più profonda e porti ad una riflessione libera e feconda:

[parte dal sogno fatto] “
Al mattino mi resi conto che aveva inteso alludere a questo libro, ce, in carattere con l’indecenza della mia professione, avevo continuato a scrivere mentre lui era malato e moriva, il sogno mi diceva che, se non nei miei libri o nella mia vita, almeno nei miei sogni sarei vissuto in eterno come il suo figlio piccolo, con la coscienza di un figlio piccolo, come lui sarebbe rimasto vivo non soltanto come mio padre ma come il padre, per giudicarmi qualunque cosa io faccia.

Non devi dimenticare nulla.”

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