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Memoriale del convento
 
Memoriale del convento 2013-12-10 17:29:18 Renzo Montagnoli
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    10 Dicembre, 2013
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Un grande affresco storico

Di José Saramago ho letto fino ad ora abbastanza poco, anche se quel poco è costituito da due titoli (Una terra chiamata Alentejo e Il Vangelo secondo Gesù Cristo) che sono duei romanzi profondamente diversi fra loro, ma egualmente splendidi. In Una terra chiamata Alentejo si narra della difficile esistenza dei contadini di quella terra, sotto un punto di vista marxista, e quindi non rinunciatario; in Il Vangelo secondo Gesù Cristo c’è una magnifica descrizione del Cristo uomo, che tuttavia rivela che in Saramago esiste più un anticlericalismo che una convinzione ateista.
Diverso è pure questo Memoriale del convento, un romanzo storico - oserei dire rigorosamente storico - in cui l’autore portoghese ha tuttavia inserito, con grande efficacia, anche un aspetto di fantasia, con la creazione di due personaggi, Baltasar e Blimunda, capaci di rappresentare in tutte le loro componenti la popolazione portoghese dell’epoca in cui é ambientato il libro.
La vicenda è del tutto vera e riguarda la costruzione, avvenuta fra il 1713 e il 1730, del reale edificio di Mafra, costituito da un palazzo, da un convento e da una basilica di dimensioni tali da competere con quella di San Pietro. Il motivo di quest’opera immensa? A Re Giovanni V di Portogallo manca l’erede e, per quanti sforzi abbia sempre fatto, questi non è mai venuto; a lui nulla si può imputare, come testimoniano i numerosi bastardi disseminati per le terre del regno; il problema è la moglie, che non riesce a farsi ingravidare. Un francescano, tuttavia, assicura che la casa reale vedrà una nascita se in cambio si costruirà un convento a Mafra. L’accordo è raggiunto e infatti da lì a nove mesi la regina scodella l’agognato erede. Per quanto ovvio, certe promesse non possono essere disattese e così si avvia la costruzione, con la partecipazione di una moltitudine di operai e a costi proibitivi.
La descrizione di Saramago è encomiabile e finisce con il diventare la narrazione di un’epopea, un ritratto fedele di un Portogallo dominato dalla religione, oppresso dall’Inquisizione, in cui i richiami alla morte non sono solo figurativi.
E poiché la storia non è solo ciò che ha riguardato un determinato accadimento, ma un intreccio di accadimenti, ognuno dei quali finisce con l’essere in dipendenza dell’altro, nel contesto edificatorio finiscono con il confluire altri fatti, peraltro accaduti veramente, com’è il caso della “Passarola”, ovvero l’uccellaccio del padre Bartolomeo Lourenço, l’ideatore e costruttore di una macchina volante, che volò veramente l’8 agosto 1709, in presenza dei sovrani. Non fu niente di leonardesco, bensì si trattò del primo pallone aerostatico. E qui aggiungo che più del rischio per il volo, Padre Bartolomeo ebbe da temere per gli effetti della Santa Inquisizione, la nube nera che di fatto sovrastava nel regno di Portogallo tutto e tutti, perfino il re.
Quella volta gli andò bene, ma poi padre Bartolomeo, accusato di giudaismo, dovette riparare all’estero, in Spagna (altro luogo poco sicuro), dove morì completamente pazzo.
L’ambientazione storica è di tutto rilievo, ma Saramago non si accontenta di tracciare per il lettore una linea in cui giustamente porre un regime oppressivo e nefasto, ma aspira anche a dare chiare indicazioni di ciò che può essere il concetto di bene, dissimile ovviamente da quello della Chiesa, che si definisce bene assoluto, in perenne lotta contro il male, rappresentato da chi ad essa non si sottomette.
Ed ecco allora le figure di fantasia di cui ho cennato, cioè di Baltasar e Blimunda, fra cui sboccia l’amore, un amore che trova nelle loro diversità (lui soldato privo di una mano, lei figlia di una strega) il miracolo di una parentesi di Paradiso in una terra d’inferno.
Detto così questo romanzo potrebbe sembrare un gran minestrone, ma del resto, trattandosi di una vicenda corale, Saramago doveva per forza non limitarsi a una singola sfaccettatura del fatto e devo dire che ne uscito assai bene, anche se la sua prosa, una prosa parlata per intenderci, mi è sembrata meno scorrevole che in Una terra chiamata Alentejo, in cui, predominando l’elemento creativo, aveva indubbiamente meno vincoli.
Ciò non toglie che, se pur il romanzo in alcune pagine possa risultare greve, tuttavia per qualità e contenuti si conferma l’opera di un maestro indiscusso ed è proprio per questo che la lettura non può che essere vivamente raccomandata.

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Commenti

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gracy
11 Dicembre, 2013
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Renzo,devi rimediare con Cecità adesso :)
Quoto Gracy! E io rimedierò leggendo questo :)

Sempre bravo
Valentina
E' già in lista.
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