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Il figlio di Philipp Meyer
Che l’intellettuale americano abbia sempre sentito l’esigenza di consolidare le origini e le radici della giovane nazione che gli ha dato i natali è cosa nota. Basti pensare al disagio più o meno evidente in autori come Henry James, nato a New York e morto a Londra, o T.S.Eliot nato a S.Louis e morto anche lui a Londra, che elessero l’Europa e l’Inghilterra, in particolare, a patria culturale di riferimento.
Il romanzo di Philipp Meyer, “Il figlio”, persegue l’obiettivo di ripercorrere la storia dell’America nelle sue tappe più significative, attraverso l’epopea di una grande famiglia di cui si seguono le vicende dalla metà dell’ottocento ai giorni nostri giorni.
L’autore si serve di tre diverse tecniche narrative: il racconto in prima persona dove narratore e protagonista coincidono come nel caso di Eli, che può essere considerato il vero effettivo capostipite della famiglia, il racconto in forma diaristica che ha diversi precedenti nella tradizione americana, ma che richiama il più popolare classico inglese Robinson Crousoe di Defoe nel caso di Peter, e la narrazione in terza persona, relativa al personaggio di Jeanne Anne, tentativo quest’ultimo di esposizione obiettiva e imparziale dei fatti.
Un romanzo avvincente che tradisce una profonda voglia di storia, che dia dignità all’uomo e all’intellettuale americano, anche se dai fatti troppo spesso traspaiono ombre ed eventi poco edificanti.
La tematica affrontata in questo romanzo non è certamente nuova, basti pensare all’opera di Thomas Berger, più nota per la trasposizione cinematografica di Athur Penn “Il piccolo grande uomo” o al film “Il gigante” diretto da George Stevens, o ancora a “Balla coi lupi” di Kevin Kostner tratto dal romanzo di Michael Blake. Tutte storie ambientate nel Texas.
Il personaggio che assume maggiore spessore è senz’altro Eli, che dopo aver visto sua madre, sua sorella e suo fratello trucidati dagli indiani, viene da questi rapito e portato nei loro accampamenti dove trascorrerà alcuni anni. La vita a contatto con una natura aspra e ostile, a fianco di uomini il cui comportamento spietato risponde quasi sempre a una logica e a una morale primitiva, ma non priva di senso né di lealtà, rende Eli un giovane ardito e pone le basi per l’uomo senza scrupoli che sarà.
Attraverso il suo racconto seguiamo parte della storia del Texas, dalla lotta contro i pellerossa, a quella contro i messicani, dalla guerra di secessione all’esproprio dei territori per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi. Una storia dura, che mostra l’altra faccia dell’american dream e che spiega la nascita delle grandi ricchezze e dei centri di potere.
Il diario di Peter, uno dei discendenti di Eli, che si trova ormai a essere parte di una famiglia diventata potente, mostra, al contrario, il disagio di chi non sente di condividere scelte prive di scrupoli che spesso inducono all’omicidio e all’odio razziale. Peter è il discendente considerato debole, in una società in cui consapevolezza e coscienza sono sinonimi di fragilità. Ma la sua fragilità si trasformerà in coraggio nel momento in cui avrà la forza di abbandonare una famiglia nei cui valori non si riconosce e di rinunciare alla ricchezza, per vivere con la donna messicana, la cui famiglia aveva contribuito lui stesso a sterminare.
Il personaggio di Jeannie, descritto da un’anonima voce narrante esterna alla storia, è interessante per l’evidente conflitto interiore che la anima: da una parte il desiderio di emancipazione e di parità di genere, dall’altra l’istintiva propensione verso un ruolo femminile tradizionale . Ella vive traumaticamente il suo passaggio dalla condizione di “mater familias” a quella di manager. Tutta la sua vita è condizionata dalle sue scelte, anche l’amore, il sesso e il rapporto con i figli.
Un romanzo, questo di Meyer, molto ben articolato, il cui titolo, “Il figlio”, al di là di un riferimento specifico a questo o a quel personaggio diviene la metafora dell’uomo americano nei suoi molteplici aspetti: egli può essere audace e coraggioso, prepotente e violento come Eli, sensibile come Peter, desideroso di emancipazione e tradizione come Jeannie.
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Aveva intrigato anche me questo titolo ed ora la tua analisi mi fa comprendere quanto ne valga la lettura
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