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Vecchi a mezzanotte
 
Vecchi a mezzanotte 2014-08-17 08:17:49 Mario Inisi
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
3.0
Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    17 Agosto, 2014
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La memoria

Ma poi udii il bisbiglio Warum? e dai boschi si levò il canto dei tropi. Si alzava lentamente, come riccioli di foschia mattutina, e aleggiava, si diffondeva. Dagli alberi scheggiati e dai cimiteri barbari e dalla finestra aperta e dalla parete di titoli incorniciati alle sue spalle e dall'appartamento del signor Z. così nitido nel ricordo. Trascorse un lungo istante e poi capì che la parola, il canto nascevano da lui, dalle sue stesse labbra. E fu allora che, lasciando i bastioni varcò la soglia illuminata di se stesso e vide, come mai prima di allora, le radici denudate e i grovigli di connessioni da lungo tempo sepolti e fu sopraffatto da una pena infinita.


Questo non è il miglior romanzo di Potok. E' un libro fatto di più storie che in qualche modo si collegano in un unico disegno con l'espediente della scrittrice Davita, cui tutti raccontano i loro ricordi. Il tema è quello della memoria, del pogrom visto da più angolazioni.
In un certo senso il tessuto del romanzo ha come connessione interna la storia biblica del sacrificio di Isacco, del ragazzo sostituito all'ultimo momento dall'ariete. L'ariete bellissimo, caro agli angeli è l'ebreo e Abramo è il suo persecutore-nazista mentre i popoli civilizzati sono Isacco per il quale l'ariete dona la vita. Anche il persecutore merita di avere da Dio il suo ariete. Non per niente il personaggio migliore del libro è quello dell'agente del KGB, Shertov. Shertov non è cattivo, non è odioso, non è psicopatico ma si trova non per causa sua ma quasi per caso a occupare la poltrona di chi fa gli interrogatori per il KGB, di chi fa sempre confessare la sua vittima.
E' interessante come Potok cerchi di vedere le cose dalla parte del persecutore. Non per niente sceglie come protagonista un ebreo (non un tedesco) agente del KGB sotto Stalin ai tempi delle persecuzioni contro gli ebrei e non solo. Il racconto parla della lentissima presa di coscienza di Shertov di trovarsi dalla parte sbagliata a dare man forte a uno psicopatico (Stalin).
Tutti possono essere dalla parte del perseguitato o del persecutore.
Il romanzo racconta il pogrom da tre angolazioni: il sopravvissuto (Noah), il carnefice (Shertov), il testimone (Benjamin). Bisogna stare molto attenti a non essere dei Shertov e, ammesso che serva, sperando che serva, ricordare.

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Commenti

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Ciao Mario.
Vedo che continui con Potok.
Questo libro, suddiviso in tre racconti, non e' facilissimo. Io, pero', l'ho trovato molto bello. Oltre al secondo racconto, di cui hai parlato, a me e' piaciuto parecchio anche l'ultimo, più' elusivo e molto affascinante. Qui Davita, come nome d'arte, recupera il suo vero cognome, che aveva abbandonato per le ragioni che sai nel romanzo ''L'arpa di Davita''.
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Mario Inisi
18 Agosto, 2014
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A me invece l'ultimo racconto non è piaciuto molto. E Davita adulta non mi è molto simpatica. Anche se la storia dell'ariete e il suo simbolismo (connessioni) è interessante.
Davita adulta è una scrittrice celebre tutta presa dalla sua arte: capta storie, è abbastanza gentile, ma guai disturbarla nel processo creativo. Penso sia sintomatico di molti scrittori.
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
18 Agosto, 2014
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Secondo me sono migliori i personaggi maschili di Potok. Lo scrittore Jacob Dow dell'arpa di Davita è eccezionale. E così le sue storie. Qui Davita è il filo per cucire insieme le tre storie. E anche il femminismo giudaico di Potok (dell'arpa)non mi interessa molto. Troppo paterno. Potok è più adatto a occuparsi di grandi problemi come i pogrom. Comunque non ho intenzione di cercare il pelo nell'uovo, Potok è uno scrittore eccezionale. Questo libro però è più tirato per i capelli, nonostante la profondità dei contenuti. Il simbolismo biblico dell'ariete-ebreo sacrificale è interessante ma preferisco le storie strampalate, il cavallo grigio, l'uccellino in cerca della sorgente della musica.
Condivido che Potok renda meglio i personaggi maschili: soprattutto grandi figure di padri, come pure adolescenti e giovani alla ricerca del proprio itinerario di vita (come Rewen, Danny, Asher...).
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Mario Inisi
19 Agosto, 2014
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La cosa interessante di questo romanzo è il voler vedere le cose (il pogrom ebraico) da punti di vista diversi: della vittima, del carnefice, dello spettatore. In fondo anche la conclusione è da Potok: sia vittima che carnefice meritano di essere salvati. E in un certo senso fare di tutto per conservare la memoria di avvenimenti come l'eccidio degli ebrei è un segno di fiducia nell'uomo, nel fatto che la storia possa insegnare qualcosa. Io non ci credo molto ma mi fa piacere che altri vedano le cose diversamente.
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