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Città della pianura
 
Città della pianura 2015-03-29 20:16:11 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    29 Marzo, 2015
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L'ultimo giorno della frontiera

John Grady Cole vive di cavalli, li capisce, gli parla, li respira... è in grado di individuare tra decine quale di essi, ben addomesticato, diverrà un animale forte ed affidabile.
Quanto accaduto negli anni precedenti ha fatto di John un uomo. Un uomo abituato a vivere in un ranch, dove mette le sue capacità al servizio di un buon padrone e per un onesto stipendio; e dove divide quotidianamente qualche parola e una sigaretta con gli altri giovani vaqueros, tra cui il suo amico Billy Parham.
Sembrerebbe dover durare in eterno. Ma non può. Perché a ogni uomo tocca affrontare i propri diavoli.
Quelli di John Grady Cole si materializzano in un luogo dove i cowboy si sbronzano e comprano i favori delle donne: sugli sgabelli del White Lake, nelle sembianze di una giovanissima prostituta, bella, dalla pelle candida, malata di epilessia (ma questo il ragazzo non lo sa). E, più di ogni altra cosa, di proprietà del suo protettore, Eduardo.
Dal momento in cui la vede, John Grady Cole capisce che la sposerà.
Dal momento in cui l'ha comprata, Eduardo ha capito che quella donna è nata prostituta.
Le due cose non possono essere entrambe vere. Non del tutto, perlomeno. Uno dei due si sbaglia.

Con “Città della pianura”, Cormac McCarthy chiude la cosiddetta “Trilogia della frontiera”, ambientata al confine tra il Messico e lo stato del Texas (dove lo scrittore vive).
Dei due libri precedenti – “Cavalli selvaggi” e “Oltre il confine” – ritroviamo i protagonisti: John Grady Cole e Billy Parham. La storia di entrambi – quella di Billy solo nell'epilogo – troverà in questo romanzo la sua continuazione. Se è vero che parliamo di tre volumi indipendenti, la lettura dei primi due – per chi vuole affrontarla – garantisce uno spessore ai personaggi ritrovati nell'ultimo.
Due ragazzi che hanno avuto la loro personale e durissima iniziazione alla vita. Ora si tratta, almeno per John, di trovare definitivamente la propria strada.
Il duello a distanza con Eduardo, giocato sul filo dei nervi, è uno dei temi del libro. L'altro è quello classico di McCarthy: la linea di confine, che vive del paesaggio desertico in cui sono ambientate le sue storie (con il ranch in territorio statunitense e il White Lake in terra messicana). Poi – nella quarta ed ultima parte che compone il libro, oltre l'epilogo – i due temi si intercettano tra loro: il confine si “frantuma”, la distanza si azzera, e tutto prende una piega diversa.
Difficile, chiusa l'ultima pagina, dimenticare la determinazione del giovane vaquero, la toccante promessa che scambia con la giovane prostituta. Ma soprattutto la figura di quest'ultima, Josephine, e della vecchia e guercia serva del bordello: lei sembra intuire cosa il destino ha in serbo per la ragazza, mentre stringe il corsetto attorno ai suoi fianchi e le sussurra come non abbia visto tante ragazze belle come lei. Un quadro che scioglie ogni durezza, ma che non va d'accordo con l'epica e la tragedia di cui i libri di Mc Carthy sono intrisi... inesorabilmente...

“In questo mondo qualunque cosa abbia inizio non ha più fine finché il suo ultimo testimone non scompare.”

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Consigliato a chi ha letto...
i primi due libri della "Trilogia della frontiera".
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Scenografico.
Si. Bel libro. Forse una sceneggiatura non ci starebbe male...
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